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Emily Hand "è ancora viva": la conferma a un mese dalla strage nel kibbutz

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La gora carsica del 7 ottobre continua a restituire storie di vita e di morte, dall’abisso di dolore e barbarie scavato dai tagliagole di Hamas continuano a emergere voci e grida di donne e uomini, giovani e anziani, inghiottiti dalla furia belluina e talvolta riemersi a nuova vita dall’inferno apertosi in Israele un anno fa esatto. Questa volta dagli orrori della guerra spuntano due storie, come due fiori, uno sbocciato dalla terra crivellata di colpi e l’altro schiacciato dalle macerie. La prima storia porta il nome di Emily Hand, una bambina di 8 anni, israeliana con cittadinanza irlandese che viveva nel kibbutz Beeri preso d’assalto dai miliziani islamici in quella maledetta notte.

Si pensava fosse tra le vittime ancora non riconosciute di quella mattanza. Invece il suo volto è risorto tra gli ostaggi nascosti a Gaza. È prigioniera, ma viva. Le autorità di Tel Aviv lo hanno comunicato alla famiglia cinque giorni fa, ma la notizia è circolata solo ora. Una buona notizia a metà, ma pur sempre una buona notizia per i genitori per i quali è iniziato un nuovo calvario, eppure quasi luminoso a confronto con la terrea certezza della morte. Un destino, in qualche modo opposto, è invece toccato alla sedicenne Ruth Peretz. Era anche lei al rave party Supernova nel deserto costato la vita a 260 giovani scannati senza pietà. Soffriva di distrofia muscolare e paralisi cerebrale e alla festa ci era andata insieme al padre Arik Peretz. Erano anni che il papà portava la figlia a questi eventi perché, come ha spiegato il medico di famiglia, la facevano stare bene e le donavano «una gioia incommensurabile».

 

Lui era stato trovato circa 10 giorni dopo il massacro, tra i corpi ammucchiati nella carneficina, di lei invece non si sapeva nulla ed era stata dichiarata scomparsa da quel 7 ottobre, inserita nell’elenco degli oltre 200 prigionieri trascinati dai miliziani islamisti nei tunnel di Gaza. La sorella, Yamit aveva lanciato un appello per avere informazioni di quella sorella che non poteva camminare, non poteva parlare e doveva essere alimentata con un sondino dai suoi famigliari. Inizialmente, quando ancora non si sapeva della morte del padre Arik, Yamit aveva implorato Hamas di permettere all’uomo di prendersi cura della figlia. Poi, dopo una decina di giorni era arrivata la notizia del ritrovamento del padre tra le vittime del massacro. Quasi una condanna per Ruth, ma la speranza in fondo, in fondo era rimasta. Poi, nei giorni successivi, vicino al confine di Gaza, è stata ritrovata la sedia a rotelle che usava per spostarsi, Infine, ieri, la notizia riportata dal quotidiano Haaretz che il corpo della sedicenne è stato identificato. Resta la speranza che sia morta subito, contemplando la «gioia incommensurabile» della festa.

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