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Israele, liberata la pasionaria palestinese. Lei grida: "Lottare per Gaza"

Daniele Dell'Orco
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Oltre tre dozzine di prigionieri palestinesi, tra cui 24 donne, sono tornati accolti da eroi in Cisgiordania dopo il loro rilascio dalle carceri israeliane come parte dell’accordo di cessate il fuoco tra Israele e Hamas. Tra canti, urla e battiti di mani hanno sfilato persone tenute in custodia in Israele con accuse di vario genere, dai reati minori ai lanci di pietre (soprattutto per gli adolescenti), dai post social agli attacchi con pugnali contro soldati dell'esercito israeliano. Il filo conduttore che lega la maggior parte di loro è il «sostegno al terrorismo», accusa che grazie a questo accordo è finita in una sorta di stand-by. Nour Al-Taher, 18enne di Nablus, ha persino potuto posare di fronte ai giornalisti davanti alla bandiera verde di Hamas che quasi si confondeva col suo niqab dello stesso colore. Dopo aver ringraziato Allah e la “Resistenza” palestinese, Al-Taher, in carcere da settembre 2022, che era stata arrestata durante scontri alla Moschea al-Aqsa, a favore di telecamera dice che adesso vuole «lottare per Gaza», ammettendo candidamente: «Il nemico è chiunque consenta a Israele di esistere».

Di fatto, autoassolvendosi per il passato ma magari anche per il futuro: «Qualsiasi sia l’accusa, qui, sei innocente, sempre, perché se hai violato la legge, è stato solo per opporti a Israele: per avere giustizia. Dei nostri 7mila prigionieri, 142 sono morti, morti di morte naturale. Israele non rilascia neppure i corpi», dice, parlando poi delle restrizioni imposte a tutte le detenute alle quali gli israeliani a suo dire «tolgono tutti i diritti». «Nessun essere umano può sopportarlo. Le condizioni delle detenute sono estremamente complicate. C’è una campagna massiccia per togliere tutti i diritti che le prigioniere avevano in precedenza. Posso solo dire che le condizioni sono estremamente terribili e intollerabili». Un'altra prigioniera rilasciata ha scomodato il paragone tra le prigioni israeliane e Guantanamo.

 

 

All’Arab News Agency, Assel Al-Tayti, dopo un anno di prigionia, ha definito «tragiche» le condizioni e parlato di Israele che picchia e pone in isolamento forzato le detenute: «Non c’era la televisione, la radio, niente... Ci hanno fatto vivere in condizioni molto difficili e non sapevamo nulla dell’esterno. Vivevamo in stanze con le pareti, isolati». Alcune ex detenute, come Hanan Barghouti, hanno scelto di non festeggiare il rilascio, ufficialmente per rispetto dei palestinesi uccisi, feriti e sfollati dai bombardamenti su Gaza, ma allo stesso tempo anche seguendo il consiglio delle autorità israeliane che non possono vedere di buon occhio le parate pro-Hamas. Come quella di Fatima Amarneh, 41 anni di Jenin, nel Nord della Cisgiordania, accolta con gli allori dopo essere finita in carcere per aver tentato di accoltellare un militare israeliano nei vicoli della Città Vecchia di Gerusalemme. Sempre in niqab, ma nero, divenne famosa sui social perché il suo attacco, ripreso dalle telecamere, venne respinto con la forza e il militare dell’Idf la prese a calci. In molti video ripostati in queste ore di giubilo per i palestinesi, però, la prima parte è scomparsa nel nulla.

 

 

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