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Javier Milei populista? No, realista e sincero: il segreto del presidente argentino

Corrado Ocone
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L’elezione di Javier Milei e i suoi primi passi stanno spiazzando non poco la sinistra. La quale, incapace ormai di pensare il mondo se non con le sue griglie ideologiche, aveva preventivamente catalogato il nuovo premier argentino nella categoria del “populismo”. Non risparmiando nemmeno facili ironie sulla sua folta e ribelle capigliatura (come tante altre cose, anche l’accusa di body shaming per la sinistra non vale per i propri avversari!).

Che populista Milei non fosse e che la sua elezione fosse proprio una risposta dell’elettorato al potere pluridecennale del populismo argentino, in tutte le sue salse, lo si è capito bene dal discorso d’insediamento pronunciato qualche giorno fa, realistico fino ad essere spietato. In esso, ovviamente con tutte le notevoli differenze del caso, sono sembrate risuonare le parole che Winston Churchill pronunciò agli inglesi in tempo di guerra, quando disse di non poter promettere loro altro che lacrime e sudore.

 

 

 

Una via difficile da seguire, ma l’unica dietro la quale sarebbe stato possibile intravedere la luce che portava fuori dal buio tunnel del presente (che oggi per l’Argentina è rappresentato da deficit, inflazione, povertà e disoccupazione giunti a livelli insostenibili). Milei non ha poi perso tempo e già ieri ha annunciato una sostanziale svalutazione della moneta nazionale (il 50% nei confronti del dollaro), che subito è stata salutata con favore dal Fondo Monetario Internazionale.

Già pronte sono poi altre misure tese a ridurre la spesa pubblica, dal taglio dei ministeri ai trasferimenti dallo Stato alle Province, dalla riduzione dei sussidi alla liberalizzazione delle importazioni. Forse Milei è piaciuto agli argentini anche perché essi si sono sentiti trattati perla prima volta da un leader politico da adulti, cioè non come bambini da ingannare o peggio da trattare, come fa la sinistra, con “superiorità” e arroganza. «Meglio una verità scomoda che una bugia comoda» ha detto il ministro dell’economia Luis Caputo, riecheggiando le parole del Presidente. Il dire la verità, praticare cioè quella che i greci chiamavano parousia, in certi casi può essere la più efficace e realistica delle politiche!

 

 

 

Con Milei non funziona però nemmeno l’altra retorica della sinistra, quella che fa degli avversari degli incolti e ignoranti. I suoi studi e i suoi libri, la sua carriera accademica, i suoi prestigiosi incarichi internazionali, ne fanno senza dubbio oggi uno dei maggiori economisti del continente subamericano. Quando parla di economia, ad uno come Milei è impossibile rispondere, come fa di solito la sinistra, con slogan e frasi fatte. Ma la vera novità del nuovo presidente argentino, quella che ne fa attualmente un unicum mondiale, è sicuramente un’altra: la coerente e solida formazione liberale che lo ha portato a proprre ai suoi connazionali un “nuovo contratto sociale” basato sul “rispetto illimitato del progetto di vita” di ognuno. Egli ha tagliato corto contro la politica delle tasse e dei sussidi e ha fatto risuonare più volte, nei suoi discorsi, la parola libertà, che per lui è anche, e forse soprattutto, quella di intraprendere e creare valore per sé e per gli altri. È una novità questa che un po’ spiazza anche la destra, la quale non sempre è coerente oggi, in Italia come altrove, con l’ideale liberale che pure scorre nelle sue vene.

Probabilmente, è proprio la chiarezza sui principi ideali, cioè nel suo caso la forte convinzione liberale, che porta Milei a non mostrare il benché minimo desiderio di compiacere la sinistra, di farsi imporre da essa l’agenda. Egli sembra dire agli argentini: provate la mia “ricetta” e alla fine mi giudicherete per quel che avrò saputo fare, senza alibi o attenuanti, e fermo restando che sul breve periodo dovete fare dei sacrifici. Millei, nel suo discorso d’insediamento, ha saputo usare anche toni di speranza, con una sapiente e dotta retorica, in un mix di realismo e idealismo che è ciò che forse manca ancora alla destra nostrana. La quale ha difficoltà, comprensibilmente, a far propria una categoria, quella di speranza appunto, su cui solamente si può costruire qualcosa di duraturo, in politica come nella vita. La politica si fa con la testa, ma anche con il cuore: si può pensare in grande, e smuovere gli animi, senza essere velleitari, né limitandosi a misure spot. Senza trasmettere fiducia nel futuro, anche la politica più ambiziosa è a rischio di soccombere. 

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