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Donald Tusk, tutti muti sul bavaglio del super-europeista

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Marco Patricelli
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«The Donald», quello polacco però, non le ha mandate a dire: li ha mandati letteralmente a casa. I vertici dell’informazione pubblica, a partire da Tv Polska, si sono visti dare il benservito dal neo premier Donald Tusk, mentre il nuovo ministro per la cultura, Bartlomiej Sienkiewicz ne ha annunciato la liquidazione per mondare il presunto “peccato originale” di aver fatto da portavoce e da cassa di risonanza al precedente governo a guida PiS (Diritto e Giustizia). Il tutto, secondo la tagliente e asettica nota consegnata alla piattaforma social X, per «garantire il funzionamento e la ristrutturazione» di TvP, di Polskie Radio e dell’agenzia di stampa Pap.

Il cinescopio abbrunato con la riproposizione di programmi registrati è stato un fulmine improvviso, segnale di rottura del braccio di ferro già in atto dopo i risultati delle urne, col tentativo del presidente Andrzej Duda di incaricare il partito di maggioranza relativo (Diritto e Giustizia, lo stesso del capo dello Stato) di formare il nuovo governo e successivamente Tusk per la coalizione di opposizione, nata con lo scopo di rovesciare il PiS raccogliendo la maggioranza dei consensi.

 

 

 

Sui media si giocava una partita non secondaria e il liberal-europeista Tusk non ha usato il fioretto contro i conservatori e sovranisti di Jaroslaw Kaczynski, sorvolando su stile, diplomazia e savoir faire. Il controllo dei media torna focale nella politica interna e internazionale, e tra i primissimi atti del nuovo governo ci sono state le lettere di licenziamento che hanno cecchinato i vertici dei media statali, nonostante le scontate proteste.

Bruxelles, che spaccava il capello in quattro su ogni mossa del PiS, tambureggiando continuamente su diritto di cronaca, libertà d’espressione, Stato di diritto e populismo, ha ritenuto di tacere sull’epurazione decisa a Varsavia: Tusk è nelle grazie dell’Europa e l’etichetta di “democratura” vale a colori alterni. Persino nell’Italia in cui il sindacato unico dei giornalisti non si perde una battuta solidale sui colleghi in Paesi sperduti nel mappamondo, ha pensato bene di organizzare una passeggiata «contro ogni bavaglio» per la dignità della professione e peril diritto dei cittadini ad essere informati. Per la Polonia? Macché, perprotestare controil vialibera della Camera dei deputati all’emendamento presentato da Enrico Costa sul divieto di pubblicazione, integrale o per stralci, delle ordinanze di custodia cautelare. La battagliera segretaria della Fnsi chiede sbrigativamente conto «alla presidenteMeloni di questa volontà del suo governo e della sua maggioranza di limitare il diritto dei cittadini a conoscere».

Ora, proviamo a immaginare se quello che è accaduto in Polonia fosse accaduto in Italia, ovvero la decapitazione dei vertici Rai e delle agenzie di stampa e la reazione con l’occupazione di alcune redazioni. Ovviamente, in sintonia con le simpatie politiche e di militanza, sarebbe già scattata la mobilitazione generale dei sindacati, Cgil in testa, l’Anpi sarebbe ricalata dalle montagne per la guerriglia partigiana contro tutti i fascismi, barricaderi e barricadere in piazza con kefiah e bandiere palestinesi che vanno tanto di moda, e vai con gli slogan contro i soliti “ismi” che sono sempre prêt-a-porter, purché dalla prospettiva giusta che è solo quella sinistra.

Dal pensiero torvo al pensiero obliquo, ma d’altronde a pensar male si fa peccato pur azzeccandoci spesso. Gli autoproclamati progressisti, campioni implacabili nello scegliersi gli idoli sbagliati in casa e fuori, perdono adesso in un colpo anche il super-europeista Tusk assieme ai cattivi conservator-sovranisti. L’ennesimo modello di riferimento, dopo Blair, Obama e compagnia cantante. Uno che faceva di queste cose, va ricordato, era un tale Joseph Goebbels, luciferino ministro della propaganda del Terzo Reich, che si inventò la “sincronizzazione” (Gleichschaltung) della cultura tedesca occupando l’informazione e allineandola agli obiettivi politici ed egemonici del nazismo. Goebbels era solito ridicolizzare pure il concetto di libertà di stampa sostenendo che esisteva un solo spartito da suonare ed era quello del governo, che controllava tutto: i giornali, la radio, la scuola, le arti, il cinema. Valeva per la Germania del Terzo Reich, è sempre valso nell’Unione Sovietica della dittatura proletaria, ma sotto altre forme sembra valere ancora oggi, però con annacquamenti, rimodulazioni e distinguo. Non fa più di tanto scandalo il bavaglio nella Russia di Putin, né nelle autocrazie vicine e lontane (Bielorussia, Corea, Cuba, Cina), nei Paesi del terzo e quarto mondo afro-asiatico, ma purtroppo non fa notizia nella civile Europa dei diritti dell’uomo e del cittadino. La patria delle costituzioni che funzionano come le luci di Natale: vanno a intermittenza e si accendono e spengono a comando.

 

 

 

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