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Giovanni Donzelli, l'uomo che organizza il partito: "Vi racconto tutti i segreti della svolta di FdI"

Francesco Specchia
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Giovanni il Battista è l'unico in camicia, perché è l'uomo che qui di camicie ne suda sette. Nel bagnasciuga pescarese di piazza Salotto, tra le migliaia di ospiti in doppiopetto, nella folla di abiti in organza e completi incravattati di rara eleganza, nel tripudio della ciclopica conferenza programmatica di Fratelli d’Italia (una roba a metà fra l’Expo e le mitiche convention berlusconiane della Forza Italia dei pionieri) Giovanni Donzelli, l’organizzatore è l’unico in camicia. Scappa da un evento all’altro, zompa di qua e di là. Sembra il Figaro di Rossini.

Caro Donzelli, il successo plastico di questo evento dove FdI presenta la sua piattaforma programmatica per le Europee, in effetti si deve organizzativamente a lei. Non è la prima volta.
«Il primo vero impegno fu Torino cinque anni fa, il battesimo del fuoco, poi Milano lo spartiacque, le varie Atreju di governo. Siamo una squadra collaudatissima ormai, macchina da guerra oleatissima. Qui erano calcolati in tutto 2200 delegati, ma oggitra volontari, militanti, simpatizzanti, governativi siamo già a 3000 persone. Domani con Giorgia (oggi per chi legge, ndr) conto che arriveremo almeno a 6000».
(Mentre parla, lo sguardo panoramico si ferma su un assessore disabile fermo alla porta chiede sommessamente di essere ascoltato, Donzelli blocca il suo torrenziale eloquio toscano e si mette a disposizione, ndr).

Perché la sinistra ha manifestato contro la vostra occupazione del “suolo pubblico”?
«Le iniziative contro le tensostrutture e manifestazioni di questo genere sono essenzialmente frutto dell’invidia di chi non è capace a farle. Se lei parla con negozianti, commercianti, gente comune, proloco e vede che il mare abruzzese è oggisu tutti i telegiornali del mondo, be’, direi che il clima generale è di consenso».

Perché Pescara?
«Pescara era la sede giusta perché, oltre ad essere nella regione elettorale di Giorgia, volevamo rilanciare la centralità del sud e dell’importanza dell’economia del mare e del Mediterraneo».

La polemica del giorno è che Bruno Frattasi capo delle cybersecurity e Stefano Pontecorvo presidente di Leonardo hanno mostrato sul palco la maglietta dell’evento di FdI. Perché la sinistra vuole la loro testa di manager pubblici? Era, il loro, un gesto opportuno?
«Polemica inutile. Quello di Frattasi e Pontecorvo, il mostrare le magliette, era una gentilezza verso l’ospite. Cosa che, per esempio, aveva già fatto Bertinotti ad Atreju, o D’Alema; e potrei citarle anche dei giornalisti di Repubblica, negli anni, da noi. Un altro conto, certo, è indossare la maglietta...».

 

 

 

 

Meloni si presenta in Europa in multicandidatura. Mettiamo che vince: i conservatori per governare si potranno alleare col Ppe o con i sovranisti, o con i socialisti perfino?
«Usiamo il condizionale (ok lo usiamo, ma oggi Meloni si candida ufficialmente, ndr), deciderà lei: se il Presidente del Consiglio dovesse candidarsi e vincesse con i Conservatori, be’, vedremo. Le alleanze con la Lega sovranista in Italia, per esempio, vanno benissimo.
Certo, ci vuole una coalizione numericamente pesante per contare. Tenga conto che dopo il voto non è detto che in Ue ci siano le stesse famiglie politiche di ora...».

Salvini, pur previsto, qui non ci sarà. Le risulta?
«Lo sapevamo. Per motivi familiari sarà presente in video».

Salvini ha candidato Vannacci, è esplosa una piccola polemica col ministro Crosetto. La candidatura era opportuna?
«Io rispetto chiunque si candidi, compreso il generale Vannacci. Anche Ilaria Salis. Certo, io non l’avrei candidata, diciamo che dal punto di vista della diplomazia non giova, poi giudicano sempre gli elettori».

Non mi ha risposto sulle future alleanze, considerando il punto di vista imprescindibile dell’atlantismo. Se vincete cosa cambierà?
«A destra quando, da europeisti veri volevano cambiare quest’Europa che affoga nella burocrazia delle cubature del cetriolo, ci davano dei distruttori della Ue. Poi, oggi, guarda caso, siamo tutti d’accordo sull’autonomia energetica della Ue, sull’unione della Difesa e la difesa delle nostre filiere, le politiche migratorie, la rivalutazione dei fondi del Pnrr».

 

 

 

 

Hanno criticato la Premier perché metterà il suo nome dappertutto -sapendo che non andrà mai a Bruxelles- sicchè ingannerebbe gli elettori.
«Il nome di Giorgia Meloni sul simbolo è una certezza e sigillo di sicurezza per il partito e per il popolo italiano. Tutto.
Non solo quello di FdI».

All’orizzonte s’avanza Mario Draghi. Potrebbe essere un buon Commissario Ue al posto di Von Der Leyen?
«Noi eravamo all’opposizione di Draghi non per lui ma per via del Pd e M5S. Non abbiamo mai negato la sua autorevolezza e condividiamo alcuni aspetti strategici come la sua idea di competitività del continente. Ma direi che il suo pensiero viene affidato a troppi esegeti improvvisati: Draghi non ha mai detto che si vuole candidare alla guida della Commissione...».

Un altro colpo della Meloni -a destra dicono “di genio”, a sinistra “elettorale” è Papa Francesco convinto dalla Premier a presenziare al G7 sul tema dell’intelligenza artificiale. Com’è accaduto?
«Il Papa che parla di Intelligenza artificiale al G7 è un colpo di genio di Giorgia, non “colpo politico”, non tiriamo per la giacchetta il Santo Padre. E apre scenari religiosi, filosofici, etici importantissimi. Tra l’altro, è un tema che abbiamo già trattato qui, ieri, in pubblico dibattito (con Padre Benanti) perfino con un influencer virtuale generata dalla AI. La quale ha affermato che, nonostante la macchina al centro del mondo, c’è sempre l’uomo. Detto dalla macchina...».

Il campo largo.
«Il campo largo non esiste più».

Ci potrà essere l’alleanza con Calenda e Renzi anche in Parlamento?
«Sono solo accordi locali. L’unica maggioranza con cui governeremo sarà quella con cui ci siamo presentati agli italiani vincendo le elezioni».

Mettiamo che Meloni si candidi (ma si candida). Rafforzerà la sua immagine internazionale? Un report dell’Atlantic Council ne certifica la stabilità di governo e le chiede di riportare l’attenzione sul Mediterraneo, di spingere sul Piano Mattei, d’insistere sui corridoi India-Medio Oriente-Europa.
«Meloni ha fatto tornare l’Italia fondamentale nello scacchiere internazionale, come ai tempi di Berlusconi da Pratica di mare e prima ancora di Craxi con la Libia. Le vie di comunicazione e i grandi scambi non saranno più tra Oriente e Occidente ma tra Nord e Sud del mondo. E l’Italia potrà essere un cardine fondamentale, soprattutto nel ruolo di futuro hub energetico, per esempio. Ma anche nella difesa delle identità culturali, delle filiere produttive, della lotta contro le follie green».

Vi accusano di essere una classe dirigente chiusa, che non si fida degli altri.
«La maggioranza dei nostri parlamentari non era con noi quando siamo nati e basta guardare i nostri componenti al Governo per capire che siamo il frutto di continue aperture che vanno oltre la storia di destra: Crosetto, Nordio, Rocella, Calderone, Fitto... Lo stesso Urso viene da An ma non era tra i fondatori di Fratelli d’Italia».

Ma avete fatto errori, diciamolo. Quali, secondo lei?
«I nostri errori? Li rifarei tutti, visto dove siamo arrivati, ma eviterei forse l’eccessiva spontaneità nell’approccio istituzionale».

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