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Spagna, le femministe contro il brano da Eurofestival: "Testo volgare e maschilista"

Hoara Borselli
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Il femminismo una volta era un movimento di lotta. Ora è diventato, più o meno, un dialetto. Cioè un modo di esprimersi secondo regole precise e inviolabili. Però i dialetti, di solito, sono fantasia: il femminismo è burocrazia. Bei tempi gli slogan fantasiosi degli anni Settanta...

L’ultimo episodio del "femminismo delle parole" è avvenuto in Spagna proprio in questi giorni. Mentre da noi era in corso il Festival di Sanremo, con tutte le polemiche e gli strascichi- dalle scarpe di Travolta al Medioriente, e poi Ghali e Gaza e via dicendo-, in Spagna si svolgeva il "Benidorm fest", che è un po’ il loro Sanremo, anche se un po’ meno famoso e seguito. In questo festival si è presentata, e ha vinto, una canzone cantata dal duo “Nebulossa” e intitolata Zorra. In quanto brano vincitore, rappresenterà il Paese iberico all’Eurofestival, in programma a maggio in Svezia.

Tutto liscio? Macché. Le femministe di Madrid sono insorte e chiedono alle autorità - non si sa quali autorità- di censurare Zorra e di impedire che venga cantata in Svezia, perché la giudicano una canzone maschilista, machista, patriarcale e tutte quelle altre cose lì. E insozza la Spagna. Ora possiamo sperare soltanto che in Svezia (a Malmoe) sia la nostra Angelina Mango a vincere: non per nazionalismo, per carità, ma solo per evitare che vinca Zorra e si inneschi la consueta pantomima legata a questo "scandalo".

 

 

E perché “scandalo”? Beh, a voi magari la parola “zorra” sembrerà un’opportuna femminilizzazione di Zorro, l’eroe mascherato. Niente di più femminista: Zorro e Zorra, come dottore e dottora, ingegnere e ingengera, presidente e presidenta. Perfetto, no?

No, non avete capito niente: “Zorra”, in slang spagnolo, è una brutta parola. I vocabolari dicono che vuol dire “volpe femmina”, ma in realtà significa anche... zoccola. Capite? In questa canzone che ha travolto gli spagnoli la parola ”Zorra” è ripetuta ben 45 volte. Ora, diciamo la verità: 45 volte è veramente tanto. Pensate che nella canzone più famosa del mondo (“Volare” di Modugno) la parola “volare” è ripetuta solo 7 volte, e la parola “blu” (“nel blu dipinto di blu”, l’altra frase cult di quella canzone) è ripetuto solo 13 volte. Sono molte, certo. Ma 45 volte è una cosa veramente insopportabile. Sproporzionata.

 

 

Gli autori hanno spiegato che, al contrario, si tratta di un testo provocatorio e antimachista. Che usa in modo spregiudicato la parola “puttana” per mettere alla berlina un certo maschilismo becero. Ma, voi lo sapete bene, le femministe italiane non sono molto spiritose, figuratevi le femministe spagnole. Non hanno voluto sentire ragioni. Loro dicono che se uno quando canta dice “zoccola”, dice “zoccola”, altro che ironia, e quindi se dice “zoccola” è evidente che sia favorevole al patriarcato.

E così le femministe di Madrid si sono messe a raccogliere firme, e lo hanno fatto subito con profitto. In pochi giorni 1500 firme pro-censura. Già, ormai l’arma principale del femminismo è questa: il ritorno alla censura. L’obbligo di linguaggio. Il divieto anche agli artisti. Del resto, come evitare la censura? Se un movimento politico diventa un movimento linguistico, l’unica cosa che può fare è censurare. Per fortuna c’è stato qualche giornale e qualche intellettuale che non si è fatto intimidire, e ha osato replicare al vangelo delle femministe. Ha reagito persino il premier spagnolo, Pedro Sanchez. Ha detto: «Preferiscono gli inni franchisti?», riferendosi al dittatore Franco. Mammamia, che scandalo! Pensate se in Italia qualcuno osasse dire alle femministe che sono franchiste; che putiferio succederebbe? Dovrebbe intervenire il Papa. Lasciamo stare. Torniamo al linguaggio di una volta: viva Zorro! 

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