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Pedro Sanchez, il "genio" della resistenza: come resta a galla, è mistero in Spagna

Carlo Nicolato
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Manual de resistencia”, la trascurabile opera letteraria in cui l’egocentrico Pedro Sanchez celebra se stesso, vanta in realtà un titolo piuttosto azzeccato. Perché se il premier spagnolo può recriminare almeno una grande dote, questa è la sua capacità di rimanere a galla, di reinventarsi quando tutto sembra perduto. Guardate come dopo le ultime elezioni è riuscito a tornare alla Moncloa, pur avendole perse si è inventato una scandalosa alleanza con gli indipendentisti catalani ai quali in cambio ha concesso un’amnistia e la promessa di un futuro referendum sulla falsariga di quello del 2017. E questo è solo l’ultimo esempio.

La stessa carriera politica del 52enne Sanchez nasce nel 2003 da una sconfitta, alle elezioni comunali di Madrid, sua città natale, alle quali si presenta nelle file del Partito Socialista in cui distrattamente milita da un decennio. Prima si era quasi solo occupato di studiare economia alla Complutense di Madrid e poi a Bruxelles dove tra le altre cose è riuscito a riciclarsi come assistente parlamentare. Ma due candidati che lo precedevano in lista si dimettono aprendogli di fatto le porte del consiglio nel quale rimane fino al 2008, anno in cui grazie alle amicizie coltivate al Parlamento europeo, si presenta alle elezioni nazionali. Anche in questo caso perde, ma viene ripescato, dopo che l’ex ministro Pedro Solbes abbandona. Fortuna sfacciata? Nel 2011 i socialisti cominciano a pagare i disastri economici di Zapatero e Sanchez viene a sua volta travolto dalla sconfitta elettorale del partito. È il periodo dei ritorni, alla Complutense dove si aggiudica un posto da professore associato, e alle Cortes di Madrid dove sostituisce la dimissionaria Carbona.

 


Quella sua innata capacità di trovarsi al posto giusto nel momento giusto lo convince tuttavia che la confusione in cui versa il Partito Socialista è un’occasione da non perdere. D’altronde ci sa fare, ha studiato, ha una posizione ed è pure belloccio ed elegante. Quella sua aria da manichino del Corte Inglés fa in realtà storcere il naso a molti socialisti spagnoli, ma quando dopo la pesante sconfitta alle Europee del 2014 il segretario Alfredo Pérez Rubalcaba è costretto alle dimissioni, di fronte a Sanchez si apre l’autostrada che lo porta alla segreteria. Tra le altre cose in questo periodo dice di ispirarsi a Matteo Renzi, il che fa ridere se si pensa che ha formato il governo più di sinistra che la Spagna abbia mai avuto, ma queste dichiarazioni servivano a convincere gli scettici più centristi. Tanto più che a sinistra si andava formando Podemos, che avrebbe eroso il voto dell’ala più estremista. Alle successive elezioni e per due tornate consecutive tra il dicembre 2015 e il giugno 2016, Sanchez perde malamente, con poco più del 22% diventa artefice del peggior risultato elettorale del Psoe post franchismo.


L’Assemblea del partito gliela fa pagare, ma è solo un piccolo contrattempo, i socialisti sono in crisi di voti e personalità, e Sanchez sa come muoversi, ha imparato dal vecchio Felipe Gonzalez, diventato il suo principale mentore. Il ritorno alla segreteria coincide con uno dei momento più turbolenti della democrazia spagnola: da una parte il referendum catalano con la dichiarazione di indipendenza e i tumulti, dall’altra una serie di scandali che coinvolgono il governo di centrodestra di Rajoy. Sanchez ne approfitta. Si schiera con il governo contro Puigdemont ma , nel giugno 2018, presenta una mozione di sfiducia contro lo stesso Rajoy per il caso Gurtel. La mozione passa e il rampante socialista si ritrova capo del governo, grazie al particolare dispositivo spagnolo. È qui che verga il suo libro, per raccontare appunto come lui, resistente nato con la camicia, è riuscito a riprendersi Psoe e governo. Presidente del Consiglio ma senza alcuna maggioranza, una specie di marchio di fabbrica. Conscio dell’impossibilità di poter governare tenta invano la carta delle elezioni anticipate. Le vince ma non riesce a formare un governo, si torna al voto e stavolta ce la fa, grazie soprattutto al calo di Podemos. Includendo tutta la sinistra, dai socialisti ai comunisti passando per i populisti, Sanchez rosicchia una maggioranza di appena due seggi. Sopravvive grazie all’arrivo del Covid, che placa l’opposizione, poi si gioca ancora la carta delle elezioni anticipate. Che perde. E stavolta per governare mette insieme comunisti e indipendentisti, in un ciclo continuo di giochi di prestigio.

 

 

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