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Iran, le sparano perché non porta il velo: paralizzata (tutto a norma di legge)

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Amedeo Ardenza
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Se in Iran c’è un nuovo corso moderato avviato con la presidenza di Masoud Pezeshkian l’altra metà del cielo non se ne è ancora accorta. Il 13 agosto, ha riferito Radio Free Europe/Radio Liberty, cinque attiviste per i diritti delle donne iraniane sono state condannate cumulativamente a più di 20 anni di carcere.

Nina Golestani, Anahita Hejazi, Anahita Dostdar, Rosita Rajaei e Nagin Adalatkhah erano state arrestate a novembre 2023 nella città settentrionale di Rasht. Adesso è arrivata la condanna per ciascuna di loro a tre anni e sei mesi ciascuna per "assemblea e cospirazione" e a sette mesi e 16 giorni ciascuna per "propaganda contro il regime". Quasi quattro anni e due mesi a testa per essere scese in strada nella più grande citta iraniana, affacciato sul Mar Caspio, durante le settimane delle manifestazioni "Donne, vita, libertà". Ossia le proteste popolari seguite alla morte a settembre 2022 di Mahsa Amini: la giovane, arrestata per aver indossato il velo islamico in maniera non corretta, morì dopo tre giorni di coma per le percosse ricevute mentre era in custodia della polizia.

 

Del presunto nuovo corso moderato non sa nulla neppure Arezoo Badri. La donna 31enne, riferisce la BBC, era al volante nella città di Nur, a est di Rasht. Nell’auto di Arezoo c’era anche sua sorella. La polizia le nota e vuole fermarle perché non indossano l’hijab correttamente. Arezoo, madre di due bambini, ha paura. Sa bene che a giugno del 2023 il regime ha impresso un nuovo giro di vite contro le donne: chi guida senza velo vedrà la propria auto sequestrata. E sa anche di aver già ricevuto alcuni richiami in passato. La “brillante” idea di sequestrare le auto alle donne, ennesimo segno dell’ossessione misogina del clero sciita al potere in Iran dal 1979, era venuta mesi prima al capo della polizia nazionale Ahmad Reza Radan che l’aveva avanzata nel quadro di un pacchetto di misure per implementare l’obbligo di velo. Oggi basta la foto di una telecamera per ricevere un primo avvertimento via SMS.

Arezoo non vuole perdere la propria auto. Non si ferma al segnale. Accelera. La polizia le spara contro, la colpisce a un polmone, le lesiona la spina dorsale. L’incidente risale al 22 luglio ma, spiega ancora la BBC, non si sa ancora che tipo di danno abbia subito la donna, al momento paralizzata dalla vita in giù. La fonte della BBC ha riferito che l'ufficiale di polizia avrebbe dapprima sparato a uno pneumatico e poi al conducente. Tutto a norma di legge. Tant’è che il colonnello Ahmed Amini, capo della polizia di Noor – un uomo senza madre, figlia, sorella né vergogna – ha affermato che l'uso di armi da fuoco è consentito dalla legge iraniana. Dopo essere stata portata in un ospedale di Nur, Arezoo Badri è stata trasferita in un ospedale di Sari, la capitale della provincia, per un intervento di chirurgia polmonare. Una settimana dopo è stata portata a Teheran: solo dopo dieci giorni i medici sono riusciti a rimuovere il proiettile, riferisce ancora la Bbc. La donna è ora nell'unità di terapia intensiva dell'ospedale Vali-e-Asr (di proprietà della polizia) a Teheran ed è tenuta sotto stretta sicurezza. Alla sua famiglia sono consentite solo brevi visite, durante le quali i telefoni cellulari vengono confiscati. Le autorità hanno vietato ai visitatori di scattare foto o video della paziente, anche se alcune immagini sono emerse.

 

In queste ore il regime degli ayatollah non pensa però né ad Arezoo, né a Mahsa Amini né alla 17enne Armita Geravand morta a Teheran lo scorso ottobre dopo un “alterco” con la polizia al quale erano seguiti 28 giorni di coma. L’attenzione della guida suprema Ali Khamenei è tutta per il negoziato a Doha per una tregua fra Hamas e Israele, l’altra ossessione di Teheran. Il successore di Khomeini non è contrario a un cessate il fuoco: “Il Corano”, scrive Khamenei su X, «ci insegna che una ritirata non-tattica», ossia strategica, «fa scatenare l’ira divina». Ma una ritirata temporanea va bene. Il tempo che basta a Hamas di ricostituire un arsenale di missili e a Teheran di sviluppare l’atomica.

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