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Medioriente, alle trattative di pace non ci crede più nessuno

David Zebuloni
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Dopo innumerevoli tentativi falliti, ci risiamo: la delegazione israeliana è atterrata la scorsa notte al Cairo, con lo scopo di incontrare la corrispettiva delegazione di Hamas e discutere le condizioni per un cessate il fuoco che preveda in primis il rilascio degli ostaggi israeliani a Gaza. Utopia? Forse. Secondo alcune indiscrezioni trapelate dai vertici dei patteggiamenti, infatti, Israele si presenta ai colloqui meno ottimista di quanto abbia fatto in circostanze passate. Poiché Hamas è ormai in ginocchio e quasi incapace di rispondere all'offensiva israeliana, quella degli ostaggi rimane ad oggi, quasi undici mesi dopo la strage del 7 ottobre, l’ultima e unica carta vincente contro lo Stato ebraico e le sue notevoli capacità strategiche e militari. Non a caso Yahya Sinwar, capo supremo e indiscusso dell’organizzazione terroristica, ha chiesto al governo israeliano di garantirgli la sopravvivenza come condizione del rilascio degli ostaggi. Ma come? Proprio lui? Colui che ha detto espressamente che serve «più sangue palestinese» per vincere la guerra? Colui che non ha battuto ciglio quando sono stati eliminati i suoi amici Deif e Haniyeh? Sinwar il capo dei martiri? Il re degli shahid? Proprio lui. In persona. (...)

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