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Musk, il Brasile vieta "X" ed entra nell'internazionale della censura

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Corrado Ocone
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Che non fosse solo una scaramuccia lo si era capito subito. Le minacce della Corte suprema del Brasile nei confronti di X si sono fatte alla fine azione, censoria ovviamente. Da ieri gli utenti brasiliani della piattaforma social di Elon Musk non possono più collegarsi a quella che, fra l’altro, era divenuta l’app di informazione più scaricata del Paese. Non solo: chiunque tentasse di forzare il blocco, si vedrà addebitare una multa superiore all’equivalente di 8 mila euro giornalieri.

Tanta severità per non aver voluto bloccare alcuni account accusati di diffondere fake news e “messaggi di odio”, che è poi il solito mantra senza senso che l’internazionale della censura usa per regolare i conti con gli avversari credendo di non pagar pegno con l’opinione pubblica (ritenuta per lo più stupida o sprovveduta). Da colpire sono ovviamente i cosiddetti “sovranisti”, fra cui viene non da oggi annoverato l’ex presidente Bolsonaro, il politico a cui molti dei profili censurati facevano riferimento. La notizia è rilevante sotto molti e inquietanti aspetti. Prima di tutto perché il Brasile, con questa sua scelta, si allinea a Stati dichiaratamente nemici della democrazia e dello Stato di diritto, come l’Iran o la Cina.

Poi perché il Paese latinoamericano può essere considerato l’avanguardia di un esperimento politico di censura che prima o poi potrebbe toccare anche ad altre democrazie, a cominciare dagli Stati Uniti qualora dovesse vincere Kamala Harris (a ben vedere è questa la più significativa posta in gioco nelle prossime presidenziali).

Le ammissioni sulle censure pro-Biden, la vicenda Telegram, le minacce di Breton sempre a X, sono segnali non equivocabili. Che il giudice De Moraes non agisse in autonomia era chiaro, ma è venuto alla luce del sole con un’intervista rilasciata dal presidente Lula ad un canale radiofonico nelle ore in cui il blocco veniva ufficializzato.

Da consumato populista e socialista in salsa sudamericana, il vecchio leader (a cui l’internazionale progressista ha perdonato la galera e le tante défaillance di cui è costellato il suo passato), l’ha buttata sul sociale e sulla morale, usando categorie come il “rispetto” che con il cuore della questione c’entrano ben poco oppure cercando di strizzare l’occhio a chi coltiva “invidia sociale” verso l’uomo più ricco del mondo.

«Non è perché il ragazzo ha un sacco di soldi che può essere irrispettoso», ha detto. Ed ha poi aggiunto: «Non può andare in giro a offendere presidenti, deputati, il Senato, la Camera dei Rappresentanti e la Corte Suprema. Chi crede di essere?». Il problema è ovviamente un altro e si chiama, secondo una lungua tradizione di pensiero, “libertà d’espressione”. Ci eravamo illusi che la questione fosse stata regolata, almeno a livello intellettuale e almeno dalla nostre parti, da qualche secolo. Ci accorgiamo oggi che non è così. Sorge allora la domanda perché questa libertà sia messa in discussione proprio ora in modo così prepotente. Credo che avvenga per la convergenza di due forze apparentemente opposte: quelle socialiste e post-marxiste, figlie di una storia che ha poco alla volta eroso le libertà liberali o “formali” in nome di una presunta libertà “sostanziale” che non è dato né immaginare né auspicare; quelle del grande capitale globale, concentrato in pochissime mani e che ritiene opportuno cavalcare i miti del tempo per aumentare i propri profitti e la propria presa sulla società. Idem mondiali sono espressione di entrambe. Quanto l’evoluzione oligopolistica del capitalismo, fattosi di Stato, abbia poco a che vedere con il liberalismo classico, basato sul principio della concorrenza, sia delle merci che delle idee, e quindi sul pluralismo, non è difficile da capire.

Musk diventa così il Nemico perché rappresenta la classica pietra di inciampo che fa deragliare un treno che ormai correva veloce verso un dominio incontrastato. Una pietra che potrebbe diventare un masso enorme anche per la determinazione con cui il proprietario di X ha intenzione di continuare la sua battaglia liberale. Già oggi egli dovrebbe pubblicare infatti la “lunga lista” di reati commessi nei suoi confronti, in modo che il popolo brasiliano possa liberamente giudicare. Grazie a lui, il Re è forse nudo. E questa è una bella notizia in uno scenario non rassicurante.

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