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Nasrallah, discendente del Profeta, studioso di islam, capo spietato

Maurizio Stefanini
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Dopo il figlio del fruttivendolo, alla testa di Hezbollah arriverebbe un figlio di chierici: il condizionale perché in effetti non si sa se almeno lui è sfuggito alla serie di attacchi culminati nella morte del leader. Di quattro anni più giovane, il sessantenne Hashem Safieddine comunque di Hassan Nasrallah è cugino da parte di madre, oltre a essere consuocero di quel generale iraniano Qassem Soleimani che fu ucciso nel gennaio 2020 a Bagdad. Entrambi comunque titolati a ostentare il turbante nero dei discendenti di Maometto, ma il defunto veniva da una estrazione più umile, anche se poi Hashem ha potuto approfittare della sua ascesa. Fu richiamato infatti a Beirut dai suoi studi in Iran nel 1992 per fare il capo del Consiglio esecutivo di Hezbollah appena due anni dopo che Nasrallah aveva assunto la guida del gruppo, e negli ultimi tre decenni ha supervisionato tutti gli aspetti delle operazioni civili di Hezbollah, tra cui il suo sistema educativo e le finanze, lasciando le questioni strategiche a Nasrallah.

Nasrallah, cognome che significa “Vittoria di Dio”, all’inizio della guerra civile in Libano aveva solo 15 anni, ma si era subito arruolato nella milizia di Amal: il movimento fondato da quell’imam Musa al-Sadr che fu il primo a dare agli sciiti libanesi una organizzazione politica, ma che fu fatto sparire da Gheddafi nel 1978 durante un viaggio in Libia. Già capo di Amal nel suo villaggio a 16 anni, divoratore di libri religiosi, trovò una raccomandazione di un religioso per studiare nella città santa irachena di Najaf. Lì fu preso a benvolere da Abbas al-Musawi, religioso libanese. Nel 1982 durante l’intervento di una forza multinazionale in Libano la fazione di Amal che poi sarebbe diventata Hezbollah esordisce con attentati kamikaze che fanno strage di militari statunitensi e francesi; nel 1985 Hezbollah si costituisce formalmente, staccandosi da Amal; nel 1991 al-Musawi ne diventa leader, estromettendo l’ala critica verso Teheran; nel 1992 è ucciso da tre elicotteri israeliani; e al suo posto va Nasrallah.

 

 

Formalmente partito politico regolarmente presente nei governi libanesi, Hezbollah però mantiene una sua rete di welfare e una milizia che ne fanno uno Stato nello Stato, e che sono finanziate parte dall’Iran. Ma il pezzo forte è tirare missili su Israele a ogni crisi. Già nel 1997 gli israeliani gli avevano ammazzano il figlio diciottenne Mohammed Hadi nel Libano del Sud, portando anche via il corpo. Sarà restituito dieci mesi dopo, e nel giorno del funerale il padre giura vendetta eterna.

Nascosto durante le guerra in un bunker, Nasrallah aveva continuato però a ricevere giornalisti, arrivando perfino, per curare il proprio look, a sostituire i vecchi occhiali dalla montatura squadrata e pesante con un paio più moderno. Un’immagine d’altronde volutamente ambigua: barbone e turbante nero da erede del Profeta, e un sorriso un po’ perfido; un rosario islamico da cui non si stacca mai, e le battute sdrammatizzanti con cui cercava di farsi benvolere dai reporter occidentali. Con Netanyahu è ora «andato dal suo Signore e per il Suo compiacimento, come un grande martire, un leader coraggioso ed eroico», recita il comunicato di Hezbollah che ne ha annunciato la morte.

 

 

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