Non è troppo ardito ipotizzare che l’ultima offensiva della Casa Bianca sul Covid abbia fini molto distanti da quelli della ricerca scientifica. Siamo nel pieno della guerra sui dazi e mentre Ursula von der Leyen ha spiegato di essere pronta a voltare lo sguardo dell’Europa anche ad «altri mercati», con un riferimento chiaro ai nemici giurati di Donald Trump a Pechino, la Casa Bianca ha ritenuto opportuno ricordare al mondo intero che, comunque la si pensi, Xi Jinping ha delle responsabilità immense su quanto successo a partire dall’autunno del 2019, ovvero dallo scoppio dell’epidemia che ha causato quasi cinque milioni di morti e costretto il resto dell’umanità a trincerarsi in casa a guardare i bollettini quotidiani sui contagi. Per non parlare dei soldi: solo per quanto riguarda l’Italia, si calcola che la pandemia sia costata più di 5.000 euro a cittadino, con un calo del Pil dell’8,9 per cento. Sono dati che val la pena citare, se si considera che da settimane stiamo assistendo al panico sui mercati per l’introduzione delle nuove tariffe americane sulle importazioni, il cui impatto in Italia si valuta in circa mezzo punto di Pil.
Sull’origine del Covid, d’altra parte, esistono dei punti ancora molto controversi ed altri del tutto chiari. Tra quest’ultimi, il fatto che la Cina abbia colpevolmente tardato nella diffusione delle informazioni necessarie per la gestione dei contagi e continuato a fare resistenza sulle ricerche sull’origine della malattia anche negli anni successivi, ricevendo per questo accuse anche dall’Organizzazione Mondiale della Sanità (non esattamente un covo trumpiano). È impossibile calcolare quanto siano costati in termine di vite umane questi silenzi. Tutte cose da tenere a mente, utili in particolare per quanti all’inizio del 2020 lanciavano campagne per “abbracciare i cinesi” e oggi nel pieno della guerra commerciale non sembrano aver perso la passione e la fiducia verso l’estremo Oriente, in cerca di alleati contro gli americani. E invece del Dragone non ci si può fidare. Per fare un esempio, al contrario di quanto vuole il luogo comune, quando si tratta di questo virus in Cina sembrano incontrare enormi problemi con la matematica, a meno che gli asiatici non siano molto più resistenti alla malattia del resto del genere umano: Pechino sostiene che più dell’80 per cento della popolazione sia stata infettata dal morbo dalla fine della politica zero-Covid, i morti però sarebbero stati solo 87mila (0,006 per cento della popolazione).
Secondo numerosi modelli internazionali, con quel numero di contagi, i decessi dovrebbero essere compresi tra i 600mila e i 2 milioni. Diventa così facile capire perché qualcuno negli Stati Uniti ancora non si rassegni ad archiviare la pratica. E altrettanto comprensibili diventano i dubbi rimasti sulle varie ipotesi circolate sulle prime fasi attorno al mercato del pesce di Wuhan, i pangolini e i mangiatori di pipistrelli. Secondo molti esperti, non riusciremo mai a capire come siano andate esattamente le cose, anche a causa delle (inevitabilmente sospette) resistenze cinesi sulle ricerche. Probabile quindi che la questione continui ad essere usata anche come arma nella politica internazionale.
Trump d’altra parte non ha mai cambiato idea, lo chiamava “il virus cinese” già nel 2020 e ora comprensibilmente lo usa per colpire l’avversario, cosa che per la verità succedeva anche ai tempi di Biden (i vari rapporti americani sul Covid rispuntavano a comando). Il bersaglio del tycoon, tuttavia, non è solo la Cina, ma anche il nemico interno: buona parte del “focus” pubblicato dalla Casa Bianca è dedicato alla gestione a stelle e strisce della pandemia, alle mascherine, ad Anthony Fauci e di conseguenza a “sleepy” Joe Biden, che del virologo americano è diventato il protettore. Il rapporto sul “Lab Leak” è stato non a caso pubblicato nella stessa pagina dove per anni sono comparse le informazioni diffuse dal governo sul Covid. Un rapporto che, come dicevamo, non fornisce tutte le risposte sul Covid, ma sicuramente fa venir voglia di porre qualche domanda.