Trump sente Meloni, ora tutto passa per Roma

Il presidente Usa a colloquio con la premier prima e dopo il confronto con Putin. Palazzo Chigi: "Siamo pronti a fare la nostra parte"
di Fausto Cariotimartedì 20 maggio 2025
Trump sente Meloni, ora tutto passa per Roma
3' di lettura


Niente partecipazione al Festival delle Regioni di Venezia, annullati tutti gli impegni previsti per ieri e oggi. Giorgia Meloni ha «uno stato febbrile che la costringe al riposo», spiegano a palazzo Chigi. Nella partita internazionale, poco cambia: la presidente del consiglio italiana deve essere coinvolta, anche perché ritenuta necessaria da colui che dà le carte, Donald Trump.

Il presidente americano, prima di trattare con Vladimir Putin sull’apertura dei negoziati di pace, si è confrontato due volte con lei. La prima sabato sera, in una telefonata nella quale Meloni e Trump hanno discusso dell’Ucraina e dei rapporti fra Stati Uniti e Ue.

La seconda nella notte tra domenica e lunedì, e stavolta alla conversazione hanno partecipato anche il britannico Keir Starmer, il francese Emmanuel Macron e il tedesco Friedrich Merz. Trump ha contattato la leader italiana anche ieri, subito dopo la lunga telefonata col leader russo. È stato lo stesso commander in chief a raccontare, sul proprio social network, di aver informato un gruppo ristretto di leader: Volodymyr Zelensky, Ursula von der Leyen, Macron, Meloni, Merz e – per evidenti ragioni geografiche – il presidente finlandese Alexander Stubb.

Per la premier italiana la “chiamata” è duplice, visto il ruolo che dovrà coprire nelle prossime settimane, se davvero, come è stato annunciato da Trump, i negoziati tra Russia e Ucraina si svolgeranno in Vaticano. La questione, a quanto si apprende, sarebbe stata concordata da Leone XIV e dal vicepresidente degli Stati Uniti, J. D. Vance, nel colloquio che hanno avuto ieri mattina in Vaticano.

Con l’intervento di Trump e la mediazione del papa statunitense, Roma diventa così caput mundi della diplomazia, e anche per chi governa sull’altra sponda del Tevere si annunciano giornate impegnative.
Al termine del resoconto reso da Trump ai leader europei, da palazzo Chigi hanno fatto sapere che «si lavora per un immediato avvio dei negoziati tra le parti che possano condurre il prima possibile ad un cessate il fuoco e costruire le condizioni per una pace giusta e duratura in Ucraina». Viene «considerata positivamente la disponibilità del Santo Padre a ospitare i colloqui presso il Vaticano» e si annuncia che «l’Italia è pronta a fare la sua parte per facilitare i contatti e lavorare per la pace».

Meloni non ha rilasciato dichiarazioni, ma chi ha parlato con lei l’ha sentita soddisfatta. Quanto accaduto conferma che è stata giusta la scelta di insistere per tenere l’Europa agganciata agli Stati Uniti e a Trump, gli unici che hanno la forza politica e militare per convincere Putin. Sembrano averlo capito anche Macron, Starmer e gli altri, visto che il loro schema è cambiato. I cosiddetti “volenterosi” sostengono di non voler più mandare truppe in Ucraina, e Meloni, nell’incontro di venerdì con Merz, ha spiegato che «nel momento in cui l’ipotesi dell’invio di soldati pare sia tramontata, noi siamo disponibili a partecipare a qualsiasi formato per raggiungere l’obiettivo di una pace giusta e duratura».

Il nuovo schema vede così la presidente del consiglio italiana nel gruppo ristretto di leader europei che collaborano con Trump. Il portavoce di Merz, ieri, ha raccontato che questo “format” «è stato auspicato dagli americani e rispecchia anche il fatto che Giorgia Meloni ha un rapporto molto buono con il presidente degli Stati Uniti e può far valere la sua influenza». Il Financial Times, quotidiano inglese, aggiunge che il cancelliere Merz, a differenza del suo predecessore socialista Olaf Scholz, vuole costruire «un rapporto cordiale» con la premier italiana, e anche per questo si sta impegnando per stemperare la «dura disputa diplomatica tra Roma e Parigi».

Influenza permettendo, Meloni dovrebbetornare in pista presto. Giovedì è previsto che incontri a palazzo Chigi il primo ministro bulgaro, Rosen Zeljazkov, e quello danese, Mette Frederiksen. Il partito di Zeljazkov è affiliato al Ppe, Frederiksen è invece socialista, teoricamente alleata del Pd in Europa, ma fa sponda con Meloni per chiudere le frontiere della Ue all’immigrazione irregolare e creare centri per l’esame delle procedure di asilo in Paesi terzi. Dossier che restano sul tavolo della premier, ai quali ora si aggiunge il lavoro diplomatico per la pace in Ucraina.