Usa, gli ex presidenti dem hanno lasciato a Trump un mondo in fiamme

Sono circa 56 i conflitti armati in corso: è "il numero più alto dalla Seconda guerra mondiale", come spiega l’Institute for Economics & Peace
di Antonio Soccivenerdì 30 maggio 2025
Usa, gli ex presidenti dem hanno lasciato a Trump un mondo in fiamme
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I media sono concentrati solo sulla guerra fra Russia e Ucraina e su quella di Gaza, fra Israele e Hamas. Ma nel mondo sono in corso circa 56 conflitti armati: è «il numero più alto dalla Seconda guerra mondiale», spiega la 18’ edizione del Global Peace Index dell’Institute for Economics & Peace (Iep). Migliaia di morti, terribili violenze e tanti profughi di cui sappiamo pochissimo. Il presidente americano Trump, che è a capo della prima potenza del pianeta (e cerca di pacificare i focolai più gravi, nell’assenza dell’Onu), ha ereditato dalla precedente amministrazione Dem un mondo in fiamme.

Secondo dati pubblicati da Armed Conflict Location and Event Data (Acled), «negli ultimi cinque anni, i livelli di conflitto sono quasi raddoppiati». Infatti «nel 2020, abbiamo registrato 104.371 eventi di conflitto» e nel 2024, «nello stesso periodo, quasi 200.000». Secondo una stima prudenziale nel 2024 le vittime di questi eventi sono state circa 233.000. Alle guerre più cruente – Ucraina, Gaza e Myanmar – «si aggiungono le persistenti violenze in molti altri Paesi con alti tassi di conflitto – tra cui Sudan, Messico, Yemen e Paesi del Sahel».

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Secondo il Global Peace Index ben 97 Paesi hanno visto un deterioramento della pace (il numero più alto dall’inizio del Gpi, nel 2008) e circa 92 «sono attualmente coinvolti in conflitti oltre i loro confini». È stato calcolato anche «l’impatto economico globale della violenza nel 2023» che è arrivato a 19,1 trilioni di dollari, «pari al 13,5% del Pil globale». Quindi una gravosa perdita di reddito pro capite che incide sulla qualità della vita. «La spesa per il peacebuilding e il peacekeeping è stata di 49,6 miliardi di dollari, pari a meno dello 0,6% della spesa militare totale», mentre l’aumento di conflittualità ha provocato una maggiore militarizzazione in 108 paesi, ma soprattutto, oltre ai morti, ha devastato tante popolazioni: «110 milioni di persone sono rifugiate o sfollate a causa di conflitti violenti, con 16 paesi che attualmente ospitano più di mezzo milione di rifugiati».

Perfino il Washington Post, a dicembre 2024, in pratica alla conclusione della presidenza Biden e alla fine di quel ciclo neocon/liberal che aveva puntato tutto su un assetto planetario unipolare, scriveva: «Il mondo ha assistito a un’impennata impressionante di conflitti nell’ultimo anno». Questo pianeta in fiamme è l’eredità avvelenata che oggi Trump si trova a dover affrontare e curare, l’eredità – ripetiamolo – di un ciclo politico che è cominciato, in pratica, dalla presidenza Clinton, negli anni Novanta, subito dopo il crollo del Muro di Berlino. Oggi vediamo la fine del tanto decantato “Nuovo ordine mondiale”.

È negativo il bilancio politico, economico e umano di quel tipo di Globalizzazione. Un’era che pretendeva di portare la “pace perpetua” e che invece sta finendo fra le rovine di una guerra planetaria (Papa Francesco parlava di «Guerra mondiale a pezzi»). Un’era che fu annunciata dall’utopia della “Fine della storia” di Francis Fukuyama e invece si è svolta secondo il copione dello “Scontro delle civiltà” previsto da Samuel Huntington. Un’era che prometteva ricchezza, ma che – oltre a pochissimi grandi entità finanziarie – ha arricchito soprattutto la Cina (oggi minacciosa potenza globale), impoverendo il ceto medio e le fasce popolari dei Paesi occidentali (da noi anche per la gravosissima penalizzazione dovuta alla Ue).

Oggi anche i conflitti apparentemente periferici nascondono, dietro agli odi fra gruppi etnici o potentati locali, le grandi partite globali. Ieri Avvenire titolava: «Sudan, l’allarme delle Nazioni Unite: “Situazione umanitaria al collasso”». Due anni di guerra civile, 14 milioni di sfollati, con massacri stupri e violenze. Nell’articolo sottostante – titolo: «Fermate il genocidio in Darfur» – si parla di «pulizia etnica in Darfur - terra ricca di oro e uranio che interessano gli Emirati arabi e i russi – per sostituire gli abitanti di etnia Masalit con persone di origine araba».

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