L’aveva preannunciato il vicecapo del consiglio di sicurezza nazionale, Dimitri Medvedev, osservando che, dopo gli attacchi israeliani e americani all'Iran «ora molti paesi forniranno a Teheran armi nucleari». Il riferimento sarebbe alla Corea del Nord, che da anni collabora con l'Iran. Ancor oggi ci sarebbero molti tecnici inviati dal regime di Pyongyang a supportare i pasdaran. I quali sarebbero incoraggiati ad arrivare alla Bomba proprio guardando all'esempio del “regno eremita”. Che avendo atomiche da quasi vent'anni s'è assicurato lo status di “intoccabile”.
Assistenza nordcoreana all'Iran si segnala da decenni e i primi importanti missili a medio raggio iraniani Shahab 3 nacquero fra il 1998 e il 2003 tramite riprogettazione locale dei vettori Nodong nordcoreani. La collaborazione missilistica è proseguita ad esempio nel razzo spaziale, forse convertibile in vettore nucleare, Simorgh, impiegato dal 2016 per lanci di satelliti. I nordcoreani resterebbero cruciali per il programma atomico, specie nella fase di passaggio da un congegno a fissione nucleare sperimentale a una testata compatta adattabile nell'ogiva di un missile.
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A tal proposito, il reporter Donald Kirk, del New York Sun, ha sentito un esperto della RAND Corporation, Bruce Bennett, secondo cui «i nordcoreani sono ancora in Iran per collaborare col programma missilistico e nucleare». Ipotizza che «possano essere morti tecnici nordcoreani negli impianti nucleari colpiti dalle incursioni israeliane e americani». Pyongyang avrebbe aiutato Teheran a scavare tunnel sempre più profondi per proteggere gli impianti, ma non solo. «Come misura estrema – dice Bennett – Kim potrebbe vendere all'Iran una o più testate nucleari da far esplodere in atmosfera con un esperimento per dimostrare che gli attacchi avversari non hanno fermato il programma atomico».
Dal canto suo, il regime nordcoreano avrebbe poco da temere perché il numero degli ordigni pronti e già dispiegati su missili è ormai troppo alto perché gli americani possano bombardare l'arsenale nucleare prima che un solo ordigno venga lanciato. Insomma, Kim è in una botte di ferro perché la sua forza nucleare è ampia e diversificata. I più moderni missili intercontinentali della serie Hwasong arrivano a 15.000 km, fino all'America, e sono lanciabili da rampe mobili autocarrate poco vulnerabili a un attacco aereo preventivo. Ancor meno esposti sono i missili Pukguksong lanciabili dai sottomarini, di cui i nordcoreani hanno dimostrato di poter operare il lancio in immersione, garantendo al paese una capacità di “secondo colpo”, ovvero di rappresaglia che scoraggi aggressioni esterne. Anche considerando le difese antimissile USA, il rischio che un solo missile atomico passi oltre sarebbe troppo alto per giustificare un attacco preventivo.
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Dal primo test nucleare sotterraneo, condotto nel poligono di Punggye-Ri nel 2006, i nordcoreani hanno fatto esplodere sei ordigni. Ultimo, e più potente, nel 2017, una testata termonucleare della potenza di 260 kilotoni, venti volte la bomba di Hiroshima. Da otto anni, nessuna ulteriore esplosione, per ora, sebbene fra 2024 e 2025 lavori osservati via satellite a Punggye-Ri abbiano fatto pensare alla preparazione di un settimo test.
L'arsenale è cresciuto in pochi anni e conta decine di ordigni completi. Al 2024 l'istituto SIPRI stimava 50 testate, ma calcolava quantità di uranio e plutonio sufficienti ad altre 90 bombe. Peggio le valutazioni dell'istituto sudcoreano Korea Institute for Defense Analyses, secondo cui la Corea del Nord avrebbe fra 80 e 90 testate pronte, con previsione di 166 ordigni nel 2030, poi fino a 300 in seguito. Sempre dalla rivale Sudcorea, dice il generale Chun In-Bum: «La Corea del Nord osserva attentamente quanto accade in Iran. Deciderà d'accelerare la crescita delle sue capacità nucleari e di fortificare i siti di stoccaggio. Adotterà protezioni aggiuntive come difesa antiaerea e misure di rappresaglia».