Macron isolato dai leader del mondo

Ucraina, sul no alle truppe a Kiev vince la linea Meloni
di Giovanni Sallustisabato 6 settembre 2025
Macron isolato dai leader del mondo

3' di lettura

Il “grande malato” d’Europa (Wall Street Journal di pochi giorni fa) è anche il grande isolato. Emmanuel Macron si è alzato, si è sistemato le petit chapeau napoleonico, si è spazzolato l’uniforme, si è sistemato i galloni.

Poi si è girato, e ha visto che la volontà più diffusa presso i cosiddetti Volenterosi era quella di fuggire dalle sue velleità bonapartiste. Non si mettono gli stivali sul terreno contro Mosca, nemmeno come ipotetica garanzia nei confronti dell’Ucraina dopo un ipotetico cessate il fuoco, in uno scomposto rigurgito di grandeur al di fuori di uno strettissimo coordinamento translantico (ovvero con quell’Aquila a stelle e strisce che continua ad incarnare l’unica deterrenza credibile rispetto agli artigli dell’Orso russo).

I giornaloni si guardano bene dal dirlo, ma è la linea di Giorgia Meloni, del centrodestra, del governo italiano quella che registra nuove convergenze di ora in ora, mentre all’Eliseo si spostano sulla mappa divisioni immaginarie.

«La Romania non invierà truppe in Ucraina», scandisce in tivù il presidente Nicusor Dan, dopo aver partecipato in videocollegamento alla riunione parigina. Dura dargli del putiniano, visto che il mainstream l’ha appena celebrato come l’europeista che ha fermato la marea populista sollevata dal candidato di destra George Simion. Molte nazioni geograficamente vicine alla Russia condividono la nostra posizione, ha poi rimarcato Dan. Ovvero, irrobustire la propria difesa all’interno del perimetro Nato, ma non lasciarsi andare ad avventure dirette in terra ucraina (che poi è la linea su cui Trump ha sempre incalzato i partner europei, altro che affossamento dell’Alleanza Atlantica).

Lo aveva già chiarito un altro difficilmente imputabile di sovranismo bavoso, il presidente del Consiglio polacco Donald Tusk. «La Polonia non manderà soldati in Ucraina, nemmeno dopo la fine della guerra»: una sconfessione piena dei piani macroniani, da parte della nazione militarmente più strutturata e culturalmente meno accusabile di russofilia tra tutte quelle dell’Est Europa. Come il presidente rumeno, anche Tusk ha accennato a un ruolo «logistico» nelle operazioni di mantenimento della pace da stabilire in sede Nato: è la strada segnata da Giorgia Meloni.

No bonapartismi, sì pragmatismo strategico-negoziale saldato all’iniziativa americana, come ha ribadito anche il presidente finlandese Alexander Stuub. Una linea che trova conferma pure fuori dai confini europei, presso un alleato che si è dichiarato senza ritrosie membro della coalizione volenterosa come il Giappone. «Non siamo tra quei Paesi che hanno assunto impegni concreti per costituire una futura forza di garanzia» così come descritta dal presidente francese, ha precisato il portavoce del governo Yoshimasa Hayashi. Tokyo non ha alcuna intenzione di mandare truppe, anche se continuerà a coordinarsi strettamente con gli alleati sul dossier, ha riportato la testata Nikkei. Del resto era assai improbabile che il Giappone s’imbarcasse in impegni militari sul Vecchio Continente a ruota delle fumose ambizioni macroniane, con un fronte del Pacifico così ribollente e una Cina così assertiva.

Ancora più pesante per Monsieur le Presidént è lo scetticismo (che ad oggi pare contrarietà esplicita) del cancelliere Merz all’invio di soldati, anche in contrasto con la connazionale Ursula Von der Leyen. È la dimostrazione plastica che la graniticità dell’asse franco-tedesco e il suo punto di caduta automatico a Bruxelles sono ormai solo un’eco di un’altra stagione, che le scorribande geopolitiche di Macron non sono supportate dalla potenza economica di Berlino, che in Europa è in atto un grande rimescolamento e che Parigi spesso balla più da sola di Roma. Più che il leader dei Volenterosi, Emmanuel pare il Signor Vorrei ma non Posso.