Con la nuova spilletta appuntata sul risvolto della giacca accanto alla bandiera a stelle e strisce, un F-22 Raptor dorato, il caccia stealth di quinta generazione destinato a rappresentare la superiorità aerea americana, Donald Trump ha annunciato il piano globale per porre fine alla guerra a Gaza. «Oggi è potenzialmente uno dei giorni più importanti nella storia della civiltà», ha dichiarato dalla Casa Bianca. Con l’obiettivo di dar vita a una Gaza «libera dal terrorismo» che non rappresenti una minaccia per i Paesi vicini, il presidente statunitense potrebbe aver posato la prima pietra per il cessate il fuoco nella regione, il Medio Oriente, dove è nato e sta crescendo il suo lascito geopolitico, gli Accordi di Abramo (al punto da sperare, ha detto in conferenza stampa con un ottimismo che fa a pugni con la realtà, che un giorno ne farà parte anche l’Iran).
Il piano prevede un cessate il fuoco immediato, con la sospensione di tutte le operazioni militari e il congelamento delle linee di battaglia, a condizione che entrambe le parti accettino l’accordo. Entro 72 ore dall’approvazione di Israele, Hamas dovrà restituire tutti gli ostaggi, i 20 vivi e i 38 deceduti. Se Hamas non lo farà, ha preannunciato il primo ministro israeliano Benjamin Netanyahu, «Israele finirà il lavoro». Contestualmente, Gerusalemme rilascerà 250 ergastolani e 1.700 detenuti di Gaza arrestati dopo il pogrom del 7 ottobre 2023. Una volta completato lo scambio, i membri dell’organizzazione terroristica islamica che rinunceranno alla lotta armata otterranno l’amnistia.
Saranno immediatamente inviati aiuti umanitari consistenti e mezzi per rimuovere le macerie. La distribuzione degli aiuti avverrà tramite Nazioni Unite, Mezzaluna Rossa e altre istituzioni internazionali neutrali, con la riapertura del valico di Rafah. La governance della Striscia sarà affidata a un comitato tecnocratico palestinese e apolitico, affiancato da esperti internazionali e supervisionato da un nuovo organismo transitorio, il “Consiglio della Pace” (Board of Peace), presieduto dal presidente americano («Non volevo ricoprire questo ruolo, ma l’hanno chiesto a me», ha detto sornione il commander in chief) insieme con altri leader, tra cui Tony Blair. L’ex primo ministro britannico era già stato incoronato nei giorni scorsi “suprema autorità politica e giuridica” di un’amministrazione temporanea del territorio. Stando a fonti diplomatiche italiane, però, potrebbe essere proprio il ruolo affidato all’esponente della Terza via a rendere indigeribile l’accordo per Hamas.
L’organismo gestirà i fondi e definirà il quadro di sviluppo. Dopodiché, il controllo finirà nelle mani dell’Autorità Nazionale Palestinese- che si è detta favorevole per la cessazione delle ostilità - a patto che abbia completato il suo programma di riforme. Il piano prevede anche un programma economico di rilancio, con la creazione di una zona economica speciale per favorire occupazione e crescita.
Nessuno sarà costretto a lasciare Gaza («Israele non annetterà Gaza», ha assicurato Trump). Hamas e le altre fazioni non avranno alcun ruolo politico o amministrativo, mentre tutte le infrastrutture militari e offensive saranno smantellate e sottoposte a un processo di dismissione controllato da osservatori indipendenti. Per quanto riguarda la sicurezza della regione, sarà istituita una Forza di Stabilizzazione Internazionale (Isf) con il coinvolgimento di Usa, Paesi arabi e partner internazionali. Questa forza formerà e supporterà nuove forze di polizia palestinesi, coordinandosi con Israele, Egitto e Giordania per proteggere i confini e prevenire il contrabbando di armi. L’esercito israeliano si ritirerà progressivamente, mantenendo una cintura di sicurezza finché Gaza non sarà considerata «sicura da qualsiasi minaccia terroristica».
Sarà promosso un processo di dialogo interreligioso per favorire tolleranza e coesistenza tra israeliani e palestinesi. L’amministrazione americana, l’attuazione del piano potrebbe aprire la strada a un percorso verso l’autodeterminazione palestinese e, in prospettiva, alla nascita di uno Stato riconosciuto. In serata, è arrivato l’endorsement del governo italiano: «La proposta presentata oggi dal Presidente degli Stati Uniti - si legge nella nota di Palazzo Chigi- è un ambizioso progetto di stabilizzazione, ricostruzione e sviluppo della Striscia» nel cui quadro «l’Italia è pronta a fare la sua parte» ed esorta Hamas a porre fine alla guerra, senza «avere alcun ruolo nel futuro di Gaza».
Perché i terroristi accettino (e rendano credibile anche la ricostruzione: nessuno investirà a Gaza se i tagliagole manterranno i mezzi per iniziare un’altra guerra) sarà cruciale il ruolo del Qatar. Pur consapevole di qualche mal di pancia a Gerusalemme, ieri Netanyahu si è scusato per l’attacco missilistico diretto contro la leadership di Hamas e che ha violato la sovranità di Doha. Il premier Al Thani, che ha indossato per anni la medaglia d’oro dell’ambiguità mentre con una mano finanziava i terroristi nella Striscia e con l’altra mediava per il cessate il fuoco, dovrà dimostrare non solo di saper persuadere Hamas al disarmo e all’abbandono della loro ideologia di resistenza e martirio, fino alla distruzione di ogni singolo tunnel, ma anche di essere più forte dell’altro armatore chiave del terrorismo, l’Iran.