I democratici vogliono il loro Donald Trump, uno carismatico che buca gli schermi, al quale i social non li devi spiegare, uno che azzecca le battute e i tempi comici e ai poveri dice che non lo saranno più. Ma la sinistra, più o meno ovunque nel mondo, è un partito che non sceglie, cui le cose più che altro capitano, e così le è successo di leggere sui giornali che in casa le era nata una star.
Il problema è che quella star la sinistra non l’ha mica allevata: uno come Zohran Mamdani, membro pagante dei Socialisti Democratici d’America dal 2017, se l’è ritrovato. Uno di 34 anni, musulmano, talmente antisemita da confondere “Intifada” con “Jihad” (noi lo sappiamo che non li “confonde”, lo fa apposta, ma loro?) e da avere rapporti con radicali anti-israeliani come Siraj Wahhaj, un imam di Brooklyn un tempo nella lista dei terroristi del Dipartimento di Polizia di New York e che va dicendo di voler sostituire la Costituzione degli Stati Uniti con il Corano, uno cioè che non è mica roba loro, anzi, Mamdanii democratici li ha sempre schifati. Tant’è che il mese scorso, durante un raduno per la campagna elettorale, nel Queens, la governatrice dem di New York Kathy Hochul è salita sul palco, ha salutato, «Ciao New York!», e 13mila persone le hanno urlato contro: «Tassa i ricchi!». Qualcuno, nella folla, le ha dato pure della «nazista». Hochul non ha detto altro, dietro di lei il Presidente dell’Assemblea di New York Carl Heastie, dem pure lui, si fissava le scarpe.
Davanti agli elettori di Mamdani tutto l’establishment del Partito democratico godrebbe della stessa accoglienza: fischi al leader della minoranza al Senato Chuck Schumer e al leader della minoranza alla Camera Hakeem Jeffries (newyorkesi entrambi), fischi alle reliquie Nancy Pelosi (a 85 anni suonati e dopo 39 al Congresso ha annunciato ieri che non correrà per le elezioni di medio termine), Joe Biden e Kamala Harris, fischi forse anche a Barak Obama, che ha telefonato al candidato e si è offerto di fargli da “cassa di risonanza”, ma s’è ben guardato dal mettere piede in città. Non bastasse per capire in quale burrone si stanno consapevolmente buttando i liberal (ma loro pensano di prendere il volo), lo scorso febbraio Mamdani fu costretto a fare un appello ai suoi elettori in vista delle primarie di giugno: allora il distacco da Andrew Cuomo, un altro della vecchia guardia del partito, era risicato e il giovane rischiava di non aver abbastanza sostenitori iscritti al partito. Chi pensasse che questo travaso di socialisti sia un caso isolato, nell’irripetibile piazza di New York, sbaglia: in tutti gli Usa, il numero di iscritti al Democratic Socialists of America è ai massimi storici.
Alcune delle sezioni in più rapida crescita si trovano nella contea di Lake, in Illinois, e nel nord-ovest dell’Arkansas. In tutto il Paese, decine di candidati – alcuni in lizza oggi, altri in vista del 2026 – copiano il ragazzo che confonde la classe operaia con le minoranze cool della grande mela. Omar Fateh, per esempio, favorito nella corsa a sindaco di Minneapolis, e Robert LeVertis Bell, in corsa per un seggio in Kentucky. Morsicati dalla voglia di tornare a vincere dopo la disfatta dell’anno scorso, i dem americani rischiano di fare la fine della sinistra tutta: diventare una grande tenda, come dicono là, un campo largo, dicono qua, in cui hanno spazio tutte le opinioni. E si finisce per dar battesimo a uno, Mamdani, che nella vita è riuscito a far funzionare gratis cinque autobus in una città che conta 340 linee.




