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Corea del Nord, il regime punta sui videogiochi

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Da Washington e Seul cresce il timore che i programmatori si trasformino in cyberterroristi

Eleonora Crisafulli
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Per fare cassa la Corea del Nord punta allo sviluppo dell'industria nazionale di videogiochi. Basti pensare che uno dei più popolari videogame per cellulari, The Big Lebowski, anche se commercializzato dalla News Corp di Murdoch, è stato in realtà programmato a Pyongyang. Niente di illegale nel piano del dittatore Kim Jong Il dal momento che le sanzioni internazionali decise contro il regime riguardano solo operazioni legate al commercio di armi. Ma le misure unilaterali varate lo scorso 30 agosto dall'Amministrazione Obama - oltre a congelare i beni di proprietà di società nordocreane ed esponenti del regime - vietano “attività fittizie” che potrebbero finire col sostenere l'industria bellica di Pyongyang. Il timore è che il know how tecnologico acquisito possa essere utilizzato in un'ipotetica cyberguerra. Alla fine di luglio la presidenza sudcoreana aveva dichiarato di poter provare un possibile cyberattacco via internet. Ma da Pyongyang l'ipotesi è stata smentita: i programmatori di videogame non hanno una competenza da cyberterroristi. Kim Jong Il, da sempre appassionato di tecnologia e internet, qualche anno fa definì le persone che non sapevano usare un computer "gli stupidi del  21mo secolo" (gli altri sarebbero, secondo il dittatore, i fumatori e gli ignoranti in materia musicale).

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