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Israele, vince la Livni

Ma le servono i nazionalisti

Dario Mazzocchi
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Il risultato elettorale di Israele non può essere descritto in termini di vittoria o sconfitta, comunque lo si voglia vedere. Quello fra i due maggiori partiti della Knesset, il parlamento di Gerusalemme, è un pareggio asimmetrico, perché se è vero che i centristi di Kadima, guidati da Tzipi Livni, hanno chiesto a Bibi Netanyahu di formare una coalizione in nome della governabilità, il ragionamento non vale a parti invertite. Per ottenere la maggioranza (61 seggi), il conservatore Likud di Netanyahu, dato da settimane per vincitore, può appoggiarsi al partito nazionalista Israel Beiteinu di Avigdor Lieberman – terzo partito con 15 seggi - e a una manciata di altri partiti fra cui l'ultraortodosso Shas, che è uscito dalle urne con 11 posti in parlamento. Un'unione delle destre porterebbe il numero dei seggi a 64 con un ipotetico governo presieduto da Netanyahu. Di qui l'asimettria: Livni deve per forza cercare la sponda del Likud, mentre Netanyahu ha la possibilità di evitare l'alleanza con il partito centrista e negoziatore nato nel 2005, semplicemente rivolgendosi a destra. Dopo lo spoglio del 99 per cento delle schede – mancano ancora voti esteri,  quelli del corpo diplomatico e dell'esercito, i risultati si sapranno domani mattina – Netanyahu e Livni hanno incontrato in rapida successione Lieberman, vincitore morale delle elezioni e arbitro della contesa. I tempi delle trattative potrebbero essere piuttosto lunghi. Mentre i leader negoziano febbrilmente per trovare una soluzione, un portavoce del presidente Shimon Peres ha detto che il presidente affiderà l'incarico della formazione del governo il prossimo 20 febbraio. A rigor di voto, Tzipi Livni dovrebbe essere il nuovo primo ministro – Kadima ha ottenuto 28 seggi contro i 27 del Likud - ma il ministro degli Esteri uscente dovrà trovare degli alleati o sarà condannata alla gestazione di un governo nato morto. Chi è Avigdor Lieberman Lieberman è l'unico che può tenere in scacco tutti. Slavofono nato in Moldavia, Lieberman ha pescato nel bacino degli elettori israeliani di lingua russa, ampliando i confini del proprio seguito con parole d'ordine nazionaliste  a antiarabe. Con troppa fretta Israel Beiteinu (Israele casa nostra) è stato bollato dalla stampa europea come una fazione razzista e arabofoba: la creatura di Lieberman è un partito di lotta e di governo che nel corso degli anni ha trovato una sua dimensione politica, ricoprendo il ruolo di forza nazionalista non orientata in senso religioso. L'ispirazione non religiosa è il punto di attrito fra Lieberman e il partito ortodosso Shas guidato da Eli Yishai. Nei giorni scorsi il rabbino Ovadia Yosef, guida spirituale di Shas, ha dichiarato che “votare Lieberman è come sostenere Satana”. Ma con il generale spostamento a destra della Knesset e l'estromissione dai giochi del Labour di Ehud Barak – quarto partito con 13 seggi, peggior risultato di sempre –, una grande coalizione dei partiti conservatori e nazionalisti che chiude qualche occhio sulle differenze per sottolineare il terreno comune è un'alternativa politica da non scartare. Mattia Ferraresi

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