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David Sassoli si vergogna di Gesù Bambino: se a Bruxelles le festività sono atee

Gianluca Veneziani
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Il pesce puzza dalla testa, si suol dire. Cosa aspettarsi dall'Europarlamento se il suo presidente (in uscita e viene da dire per fortuna) David Sassoli manda agli altri parlamentari un messaggio di auguri in cui scompare, manco fosse peccato, il termine «Natale»? Evidentemente si sarà adeguato alle linee guida, poi abortite, della Commissione Ue sul linguaggio inclusivo che prescrivevano di non pronunciare il termine «Natale» e preferirgli l'espressione «festività».

Nel suo biglietto di auguri destinato ieri ai colleghi del Parlamento Sassoli si limitava a un «Auguri di serene festività, felicità e pace», in cui mancava la ragione fondamentale che dovrebbe rendere questo un periodo di festa. Sia mai turbasse la sensibilità di quanti non lo celebrano e potrebbero sentirsene offesi. Resta comunque curioso che Sassoli lasci la guida dell'Europarlamento con un messaggio di speranza, mentre omette di citare la Speranza per eccellenza per un cattolico democratico quale lui dice di essere, la Nascita di Gesù: «L'Europa», diceva ieri nel messaggio al Consiglio europeo, «ha bisogno di un nuovo progetto di speranza. Questo progetto può essere costruito intorno a tre assi forti: un'Europa che innova, un'Europa che protegge e un'Europa che sia faro». Peccato manchi l'Europa che crede, quella cristiana.

 

 

 

È la stessa visione che faceva sì che due giorni fa all'Europarlamento la sinistra si opponesse all'idea di un dibattito sulle folli linee guida della Commissione. La discussione era stata chiesta dal Ppe, con l'appoggio di altri gruppi di centrodestra come Identità e Democrazia (di cui è parte la Lega), in quanto - aveva poi sintetizzato Manfred Weber, presidente del gruppo Ppe - «i cittadini si sono chiesti qual è la ragione di formulare linee guida di questo tipo. Per noi avere un credo è importante. La religione non deve essere spinta solo nella sfera privata. Il dna dell'Europa è cristiano e due terzi dei cittadini si considerano cristiani». Ebbene, a fronte della necessità di ribadire queste evidenze, la sinistra si era inalberata, sostenendo che altri temi e molto più urgenti erano da mettere all'ordine del giorno. Così sentivi l'eurodeputato spagnolo di centrosinistra Juan Fernando Lopez Aguilar dire che «sarebbe il caso di parlare di povertà, energia, inflazione». E la svedese Alice Kuhnke dei Verdi affermare: «Dovreste parlare di crisi climatica e diritti delle donne».

 

 

 

 

Menomale che qualcuno si sforzava di ribadire verità acquisite ma dimenticate: per dirla con Chesterton, in tempi come questi bisogna attizzare fuochi per ricordare che due più due fa quattro. Così giungevano gradite le parole del liberale Dacian Ciolos: «Non ho bisogno che la Commissione mi dica se posso pronunciare "Buon Natale"». E quelle delle eurodeputate leghiste Mara Bizzotto e Susanna Ceccardi, per le quali «un'Europa che vieta la parola Natale non è e non sarà mai la nostra Europa» e «l'Europa deve smetterla di rendersi ridicola agli occhi del mondo rinnegando se stessa». Da cui anche l'appello dell'eurodeputato di centrodestra François-Xavier Bellamy: «È la fine del Natale, dobbiamo salvarlo». Ora non sappiamo se l'Europa sia il Grinch o Scrooge, i personaggi che volevano distruggere il Natale. Ma di sicuro quella che viviamo non è una favola e rischia di non avere un lieto fine.

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