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Riforma del debito, Berlino boccia la Ue: chi comanda davvero?

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Sandro Iacometti
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Una trappola per l'Italia e i paesi ad alto debito o un allentamento di quelle regole ferree definite "stupide" persino dal super europeista Romano Prodi? Esperti ed economisti, commentando nei giorni scorsi le bozze della riforma del patto di stabilità, si sono divisi. Ma un indizio importante sul pacchetto presentato ieri dalla Commissione europea arriva da Berlino. «Un'unione monetaria ha bisogno di regole di bilancio unitarie. Questo è decisivo per assicurare il trattamento paritario e la comparabilità nella sostenibilità del debito», ha subito detto il ministro delle Finanze tedesco, Christian Lindner. Segno che quegli accordi bilaterali tra Bruxelles e Paesi "spendaccioni", che sono al centro della proposta, piacciono alla Germania (e alla Olanda, che ha chiesto in cambio una maggiore severità sui controlli e sulle sanzioni) come il fumo negli occhi. Il che fa presagire che tra un anno, quando finirà la moratoria, osi deciderà per una proroga o torneranno in vigore le vecchie regole.

L'idea della prima proposta della Commissione è «mettere finalmente sullo stesso piano crescita e stabilità», con una discesa sostenibile e realistica del debito, ha detto il commissario Ue all'Economia Paolo Gentiloni. «Questo Patto di stabilità e crescita intelligente produrrà risultati, grazie a maggiori responsabilità e meccanismi di applicazione più forti», ha detto la presidente Ursula von der Leyen. Che tradotto vorrebbe dire: ci sarà più flessibilità nel valutare le situazioni difficili, ma più rigore nel far rispettare gli accordi. Conviene all'Italia? Difficile a dirsi.

 

 

 

Nel dettaglio, il nuovo Patto non dice addio alle soglie del 60% del debito sul pil e del 3% per il deficit. Il nuovo iter prevede però che la Commissione indichi agli Stati eventuali aggiustamenti di bilancio richiesti da raggiungere nell'arco di quattro anni (estendibili di 3 anni). Gli Stati presenteranno quindi dei piani per arrivarci, decidendo e prendendo impegni su riforme prioritarie e investimenti. I percorsi individuali saranno quindi vidimati dall'Esecutivo e approvati dal Consiglio. A quel punto una sola voce sarà monitorata regolarmente da Bruxelles: la spesa primaria netta (cioè quella senza le entrate una tantum e spese per interessi e lavoro). Per i Paesi più indebitati come l'Italia i piani a 4 anni dovranno garantire un percorso di spesa con una traiettoria plausibile di riduzione del debito a dieci anni. Scomparirà l'idea che i Paesi debbano ridurre ogni anno di un ventesimo il debito eccedente la soglia del 60% (regola rimasta sulla carta). Resterà invece la procedura di infrazione per deficit oltre il 3%.

 

 

 

La procedura per debito sarà poi rafforzata, con focus sulle deviazioni dai piani approvati e anche automatismi per i più indebitati. Ci saranno sanzioni finanziarie, lievi ma più probabili. E senza misure di correzione del deficit potrà scattare la sospensione dei finanziamenti Ue. I piani non potranno essere riaperti neanche con conti in squilibrio. E, infine, non ci sarà una golden rule per consentire investimenti green o nel digitale. Il primo commento del ministro Antonio Tajani invita alla prudenza: «Credo si debba riflettere se non rinviare di un anno l'entrata in vigore del Patto di stabilità».

 

 

 

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