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Ue, l'appello di Paragone: perché deve indagare sul colonialismo francese

Gianluigi Paragone
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Le condizioni economiche dei paesi francofoni sono costantemente peggiorate nel corso dell’ultimo decennio, riducendone più d’uno in quelle terribili condizioni in cui per ogni capo famiglia l’unica scelta ragionevole rimasta, come diceva un tempo il Presidente della Fao, è quella di decidere se si preferisce morire, emigrare o ribellarsi. Così il 6 agosto scorso scriveva la rivista Analisi Difesa in una lunga e dettagliata analisi sul rapporto tra Francia e le sue ex colonie. Poiché la gente mediamente poco si occupa di politica estera e dei suoi complicati tormenti, vale la pena accendere un faro sulle responsabilità della Grandeur in Africa alla luce delle continue migrazioni. «Gli Stati cosiddetti “francofoni” si impegnavano a rimanere nella zona di influenza esclusiva della Francia, accettando in questo modo a priori limitazioni molto forti non soltanto nell’ambito della loro politica estera ma altresì in quello, molto più delicato, della loro politica interna nonché di quella economica».

 

 

Per farla breve, la Francia esercitava questo controllo post coloniale attraverso due leve: il presidio militare per mezzo della cosiddetta Compagnia Tournante, formata da paracadusti, militari esperti della Marina e dalla Legione Straniera; la moneta (il franco Cfa) emessa e controllata dalla Banca centrale francese (e non dalla Bce; nessuno ha nulla di ridire?). Controllare militarmente e- sebbene oggi con una morda ridotta- con una moneta le sue vecchie colonie mette a riparo gli interessi francesi nelle terre africane, dove insistono grandi ricchezze minerarie (fondamentali per le industrie pesanti e per la componentistica nei settori dell’elettronica e del digitale) e di risorse energetiche. Di chi ha paura la Francia? Oggi più che mai della Cina, i cui fondi si sono comprati mezza Africa centrale, ma anche della Russia, della Turchia e del Qatar.

 

 

La domanda che nessuno in Europa pone al governo di Parigi è: chi ci sta guadagnando da questo controllo “padronale”? L’economia francese tantissimo (altrimenti non presidierebbero miniere, giacimenti, sedi operative delle multinazionali); la popolazione africana per nulla. Non deve sorprendere pertanto se in questi ultimi decenni il trend di crescita è stato decisamente passivo come dimostra il doppio passo migratorio, uno verso l’interno dell’Africa l’altro fuori da esso prevalentemente via mare. Di questa fuga dal sottosviluppo, la Francia ha responsabilità enormi ed è inutile fermare l’analisi sull’ultimo pezzo della vicenda (che per noi diventa “il tema”) se la famigerata Europa non arriva al “redde rationem” con Parigi. C’è - infine - l’ultimo tassello di questa ricostruzione: nelle povertà crescono le ribellioni interne. Chissà se qualcuno ha chiaro che nel fallimento del post colonialismo occidentale si è infilato come una lama calda nel burro il terrorismo islamico e le compagnie di ventura tipo la Wagner. Con tutto quel che ciò comporta. 

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