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Mps, lo Stato inizia a liberarsi della banca: la mossa di Giorgetti

Sandro Iacometti
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Troppi soldi buttati, troppi ritardi, troppi passi falsi. Una volta visto il titolo ai massimi, sopra i tre euro, Giancarlo Giorgetti non ci ha pensato due volte: si vende. Del resto, i circa 30 miliardi bruciati dal 2008 tra aumenti di capitale privati e quelli, dal 2017, a spese dei contribuenti (7 miliardi) non sono proprio bruscolini. E recuperare un po’ di quattrini dopo averne buttati così tanti, per di più a causa di una serie di pasticci targati Pd, è un cambio di passo anche simbolico. Una svolta politica con cui il ministro dell’Economia ha voluto inaugurare il suo piano di privatizzazioni da 20 miliardi su cui molti continuano a non scommettere. Anche Moody’s, pur generosa nel suo giudizio sull’Italia, alzando le prospettive da negative a stabili, ha detto di non aver considerato nei suoi calcoli i proventi delle dismissioni che dovrebbero andare a ridurre l’indebitamento. E invece ora si è già palesato sul piatto quasi un miliardo di euro.

 

Il blitz si è rivelato vincente. Rispetto a un’offerta iniziale del 20% delle azioni del Monte dei Paschi di Siena avviato dal ministero dell'Economia con la procedura accelerata, alla fine una domanda più alta di 5 volte ha spinto l’asticella fino al 25%. Le azioni sono state cedute a un prezzo di 2,92 euro, con uno sconto pari al 4,9% rispetto al prezzo di chiusura registrato ieri a fine seduta (3,072). Considerando il prezzo di sottoscrizione dell’aumento di capitale di un anno fa da 2,5 miliardi, coperto per circa due terzi dal governo, si tratta di una plusvalenza di quasi il 50%. L’operazione, curata dal consorzio di banche BofA, Jefferies e Ubs, ha un controvalore di 920 milioni e porta la quota detenuta dallo Stato dal 64,23 al 39,23%. Insomma, un buon affare sotto tutti i punti di vista.

 


La scelta della vendita veloce (accelerated book building) è stata determinata da diversi fattori. Il primo è, ovviamente, l’effetto sorpresa. In situazioni del genere annunciare una cessione porta solo guai (sappiamo tutti com’è finito il tentativo di sbolognare Mps ad Unicredit). Altri vantaggi tecnici riguardano la possibilità di cedere le azioni senza bisogno di alcun obbligo pubblicitario e di piazzare il pacchetto agli investitori istituzionali e non direttamente sul mercato, che potrebbe non essere in grado di assorbire in fretta una quantità troppo elevata di azioni. A favorire l’ottimo andamento di Borsa di Mps (+20% nell’ultimo mese) sono stati sicuramente la gestione dell’ad Luigi Lovaglio e la spinta dei tassi d’interesse, che hanno fatto schizzare i conti dei novi mesi, con utili balzati a 929 milioni rispetto alla perdita di 334 milioni dello stesso periodo dello scorso anno. Ma una bella mano, per una volta, l’ha data anche la magistratura. A seguito della sentenza della Cassazione, che ha assolto definitivamente gli ex vertici Giuseppe Musssari e Antonio Vigni nel processo sui derivati, Mps ha declassato da «possibile» a «remoto» il rischio sul contenzioso miliardario della banca. Per lo stesso motivo ieri Bank of America, ipotizzando un esito positivo anche del processo di appello a carico dei successivi amministratori, Alessandro Profumo e Fabrizio Viola, la cui sentenza è attesa per il 27, ha alzato il prezzo obiettivo da 3 a 3,8 euro. Un’assoluzione, ha spiegato Bofa, «ridurrebbe significativamente» i rischi legali «che rappresentano ancora un ostacolo chiave» per il titolo.

 


Certo, in questo modo resta insoluto il mistero di chi abbia fatto a brandelli l’istituto senese, così come restano impunite le responsabilità politiche della sinistra, che prima ha spolpato la banca attraverso un controllo di fatto degli amministratori locali del Pd, e poi l’ha salvata nel 2017, usando 5,4 miliardi prelevati dalle nostre tasche. Ma la svolta di ieri può in qualche modo addolcire la pillola. Tra i primi ad applaudire la svolta, gli esponenti di Forza Italia. «La decisione va nella giusta direzione delle privatizzazioni. Il governo ha saputo invertire la rotta di Mps, adesso in utile, restituendo al territorio un antico attore bancario», ha commentato Antonio Tajani. Ma anche per Matteo Salvini è una buona notizia: la banca «torna ad essere una risorsa dopo troppi annidi cattiva gestione targata Pd».

 

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