Mario Draghi, la disillusione dell'ex premier: "L'Europa non conta più"

Al Meeting: "Abbiamo subito i dazi Usa e la Cina non ci vede come partner forti. Per reagire i Paesi devono andare d'accordo"
di Fabio Rubinisabato 23 agosto 2025
Mario Draghi, la disillusione dell'ex premier: "L'Europa non conta più"

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Mario Draghi, ex presidente della Bce ed ex presidente del Consiglio, ospite al Meeting di Rimini, rivela di avere «un europeismo molto coi piedi per terra». Lo dice poco dopo aver fatto a fette l’Unione europea e la presidente della sua Commissione, Ursula von del Leyen e aver ricordato di come «nella mia tesi di laurea scrissi che la moneta unica era una gran sciocchezza», suscitando l’ilarità della platea. Concetti che non rappresentanto una novità assoluta: l’inaugurazione del filone euro-scettico di Draghi risale a poco dopo la presentazione del suo rapporto sullo stato dell’Unione, che dopo grandi cerimonie e dibattiti, venne riposto in qualche cassetto a Bruxelles, dove ancora oggi giace dimenticato. Circostanza insopportabile per l’uomo del «Whatever it takes» che salvò la moneta unica sotto attacco dei mercati.

Nel suo intervento, davanti a una platea che non lesina applausi, Draghi parte subito forte: «Per anni l’Unione europea ha creduto che la dimensione economica, con 450 milioni di consumatori, portasse con sé potere geopolitico e nelle relazioni commerciali e internazionali. Quest’anno- sentenzia l’ex premier- sarà ricordato come l’anno in cui questa illusione è evaporata». Per spiegare questa sua affermazione, Draghi non esita a mettere nel mirino le azioni- o meglio le inazioni - di Ursula von del Leyen: «Abbiamo dovuto rassegnarci ai dazi importi dal nostro più grande partner commerciale e alleato di antica data, gli Stati Uniti. Siamo stati spinti dallo stesso alleato ad aumentare la spesa militare - incalza Draghi -, una decisione che forse avremmo comunque dovuto prendere, ma in forme e modi che probabilmente non riflettono l’interesse dell’Europa».

Perdipiù «l’Ue, nonostante abbia dato il maggior contributo finanziario alla guerra in Ucraina, e abbia il maggior interesse a una pace giusta, ha avuto finora un ruolo abbastanza marginale nei negoziati per la pace». E non solo: «Nel frattempo la Cina ha apertamente sostenuto lo sforzo bellico della Russia. Le proteste europee hanno avuto poco effetto: la Cina ha chiarito che non considera l’Europa come un partner alla pari e usa il suo controllo nel campo delle terre rare per rendere la nostra dipendenza sempre più vincolante». Il carico, però, Draghi lo mette su altri due temi caldi della politica internazionale: «L’Ue è stata spettatrice anche quando i siti nucleari iraniani venivano bombardati e il massacro di Gaza si intensificava. Questi eventi hanno fatto giustizia di qualunque illusione che la dimensione economica da sola assicurasse una qualche forma di potere geopolitico».

Ecco, detto tutto questo per Draghi «non è una sorpresa che lo scetticismo nei confronti dell’Europa abbia raggiunto nuovi picchi». Scetticismo, però, che non riguarda «i valori su cui l’Unione europea era stata fondata: democrazia, pace, libertà, indipendenza, sovranità, prosperità, equità. Credo piuttosto che lo scetticismo riguardi la capacità dell’Unione europea di difendere questi valori». In sostanza Draghi spiega che la struttura dell’Unione non è mutata nel tempo in maniera abbastanza veloce e oggi si trova ad affrontare situazioni complesse con armi spuntate. L’ex premier, ovviamente, indica anche la via che l’Unione dovrebbe percorrere per passare «da spettatore o al più comprimario, ad attore protagonista. Deve mutare anche la sua organizzazione politica che è inseparabile dalla sua capacità di raggiungere i suoi obiettivi economici e strategici». Per farlo si deve lavorare su due piani d’intervento.

Il primo riguarda la necessità di utilizzare la dimensione europea, «rimuovendo tutte le barriere che ancora persistono sul mercato interno». La seconda è quello degli investimenti ed è in questo senso che Draghi ha posto l’accento sulla necessità di arrivare a concordare «forme di debito comune» per «sostenere progetti europei di grande ampiezza che sforzi nazionali frammentati insufficienti non riuscirebbero mai ad attuare. Questo vale perla difesa- spiega l’ex premier, ma soprattutto per ciò che riguarda la ricerca e lo sviluppo; per l’energia, per gli investimenti necessari nelle reti e nell’infrastruttura europea; per le tecnologie dirompenti, un’area in cui i rischi sono molti più alti, ma i potenziali successi sono fondamentali per trasformare le nostre economie». Torna a parlare di «debito buono e debito cattivo». E spiega che l’elezione di Trump è stata una sveglia brutale che ha cambiato tutto» e che per reagire «dobbiamo stringerci tutti assieme e imparare ad andare d’accordo» e che «è meglio cedere un po’ di inutile sovranità per avere maggior potere contrattuale». Proprio in questo senso per Draghi ha ricordato che «il mondo non aspetta i lunghi riti dell’Eu» e che «i leader europei alla Casa Bianca hanno dato una dimostrazione di unità che vale più di cento riunioni fatte a Bruxelles».