Come in una visione mistica, Marco Travaglio pare aver trovato la sua nuova missione: sparare a zero sui colleghi direttori dei giornaloni italiani. Spunto della riflessione acida? Niente meno che Papa Francesco, che il vicedirettore del Fatto quotidiano non esita a definire "quasi uno stalker". In realtà, il riferimento al Pontefice, un po' brusco, è tutto un pretesto per massacrare di nuovo Eugenio Scalfari e il carteggio di Repubblica con la Santa Sede. "Se non fosse che rischia di diventare uno stalker - attacca il suo editoriale Travaglio -, con tutte quelle telefonate in giro, bisognerebbe difendere Papa Francesco dallo stalking dei grandi giornalisti". Marco Manetta commenta a modo suo la lettera inviata da Sua Santità all'ateo Scalfari: lettera, per Travaglio, che altro non era se non un "bignamino del vecchio catechismo" (che il vicedirettore del Fatto, oltre che giustizialista, sia pure un mezzo inquisitore?) che il destinatario Scalfari "ha scambiato per una rivelazione rivoluzionaria". E non manca altro veleno per il vecchio Barbapapà le cui simpatie giovanili per i francescani vengono liquidate così: "I suoi esercizi spirituali probabilmente li faceva nel casinò di cui era croupier da giovane". Al veleno, non si rinuncia mai. Ne sanno qualcosa Monsignor Ravasi ("trombato eccellente all'ultimo conclave ma popolarissimo su Twitter"), che ha organizzato a Roma un convegno invitando tutti i direttori più invisi a Travaglio. Scalfari ed Ezio Mauro di Repubblica ("la Santissima Duità, secondo il nuovo modello vaticano con Papa ed ex Papa"), Roberto Napoletano "del Sòla 24 Ore", Mario Calabresi de La Stampa, Ferruccio de Bortoli del Corriere della Sera, Emilio Carelli di Sky, Virman Cusenza del Messaggero. E giù sfottò ai cardinaloni dell'informazione, dall'abisso "religioso, quasi mistico" dei conti del Messaggero di Caltagirone alle verità ballerine di uno dei bersagli preferiti di Travaglio, Piero Ostellino del Corsera. Con chiusura dedicata, dall'alto del pulpito, al mistero gaudioso, anzi "doloroso", del perché negli ultimi cinque anni i quotidiani abbiano perso un milione di lettori.