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Magistratura, le regole per evitare la troppa discrezionalità dei capi delle toghe

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Corte di Cassazione Il 14 marzo 2021 è il giorno della sconfitta più cocente per la Procura di Milano, in particolare del procuratore capo Francesco Greco e dell'aggiunto Fabio De Pasquale. Dopo un processo di tre anni, la richiesta di una pesante condanna avanzata da De Pasquale è stata respinta dal Tribunale di Milano, che ha assolto con formula piena i top manager dell'Eni Paolo Scaroni e Claudio Descalzi, svelando l'inconsistenza delle accuse nell'inchiesta sulle tangenti che sarebbero state pagate per ottenere lo sfruttamento di un giacimento in Nigeria.

 

 Sono volate sulla chat interna dell'ufficio proteste, uno dei magistrati ha scritto al suo capo: «Francesco non ci prendere in giro». Nel 2014 si registrò lo scontro tra l'allora procuratore Capo Edmondo Bruti Liberati e l'aggiunto Alfredo Robledo: il primo accusato di aver proceduto ad assegnazioni preferenziali di alcuni fascicoli scottanti (tra essi quello sul caso Ruby); il secondo accusato da Bruti Liberati, in una nota al Csm, di aver determinato un reiterato intralcio alle indagini esponendo a grave rischio la loro segretezza (l'accusa è stata ripetuta di recente nei confronti del pm Storari "reo" di aver passato a Davigo le carte attestanti un singolare immobilismo di un'indagine). La vicenda del 2014 si concluse con un generale proscioglimento, sebbene le accuse (anomale assegnazioni di fascicoli, ritardate iscrizioni nel registro degli indagati, prolungate tensioni all'interno dell'ufficio) non fossero di poco conto e portassero in primo piano la politicizzazione della Procura milanese, o meglio di alcuni magistrati. Non luogo a procedere e niente trasferimento di ufficio per l'uno o l'altro, o per entrambi i litiganti: si parlò anche di una lettera inviata dal capo dello Stato Napolitano al vice presidente Vietti dopo l'audizione di alcuni sostituti. 

 

Gli interrogativi sono: il procuratore capo può assegnare i fascicoli a sua discrezione in assenza di regole generali e senza adeguata motivazione? Sono accettabili l'accelerazione di alcune indagini e il rallentamento di altre? Se l'azione penale è obbligatoria, come prescrive la Costituzione, è ammissibile che si indaghi a senso unico e senza osservare il principio della parità di trattamento? Può la lotta alla corruzione internazionale giustificare il modo maldestro di condurre le indagini e il flop clamoroso del verdetto pienamente assolutorio? È ammissibile che nelle valutazioni di carriera non se ne tenga conto e che addirittura i protagonisti dell'insuccesso siano premiati in termini di professionalità? Se la risposta a tali interrogativi è negativa, sembra legittimo un intervento del Ministro e dell'Ispettorato per trovare una soluzione accettabile. Del resto sarebbe sufficiente leggere le rivelazioni di Palamara per capire che occorre porre un freno al personalismo e alla politicizzazione di una parte della magistratura: soprattutto ora che, con l'arrivo al ministero della Cartabia, si parla di novità, trasparenza ed aria nuova. 

di Bruno Ferrario
Presidente Aggiunto Onorario Corte di Cassazione

 

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