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talia condannata dalla peste comunista, l'influenza rossa del giustizialismo

Iuri Maria Prado
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Il nostro Paese è irrimediabilmente sfigurato dal passaggio della peste comunista, i cui effetti permangono non ostanti tutti i cambi di denominazione, tutti gli avvicendamenti simbolici, tutti i travestimenti cui quella tradizione ha nei decenni fatto ricorso per perpetuarsi sostanzialmente inalterata. Ed è esattamente per questo motivo, esattamente per il carattere ormai endemico di quest'influenza rossa, che è semplicemente insensato attendersi che nella società così contaminata si producano anticorpi sufficienti a ripudiare lo storico veicolo del potere comunista: l'aggressione personale per via giudiziaria, sul presupposto indefettibile che il nemico politico è, quando va bene, un poco di buono, e, quando dimostra qualche preoccupante capacità competitiva, un criminale da processare.

 

 

È addirittura patetico il dibattitone a sinistra sull'esigenza di liberarsi da quella malattia facendo le mostre che sia un'altra cosa, un emendabile errore di prospettiva, una sbavatura nel quadro di un approccio altrimenti accettabile, una piccola aberrazione lungo un percorso altrimenti retto, anziché il segno profondo e genetizzato di una stortura morbosa. Se da sinistra alcuni manifestano stupore perché i ranghi postcomunisti si stringono nel silenzio, quando non nel compiacimento, assistendo a come un senatore toscano che fu loro segretario è molestato dalla giustizia e dalla stampa portavoce della piovra togata, significa che da quelle parti non hanno capito proprio nulla della politica a cui guardano e, dopotutto, di sé stessi.

 

 

Perché quel che chiamiamo giustizialismo non è nemmeno un difetto culturale di quella sinistra ma un suo dato essenziale. Dovrebbe smettere di essere sinistra, per smettere di essere giustizialista.

 

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