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M5s, giustizialisti a fasi alterne: come si coprono di ridicolo ora che Beppe Grillo è indagato

Pietro De Leo
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Fortuna che siamo nella settimana precedente all'elezione per il Colle. Giorni in cui il cucire prevale sul colpire. Così, il Movimento 5 Stelle si salva dal fuoco di ritorno sull'inchiesta che coinvolge Beppe Grillo per presunto traffico di influenze illecite. Loro fanno quasi gli gnorri, sul piano politico. C'è il deputato Francesco Silvestri, che prova a liquidare la questione osservando che «Grillo non è un decisore pubblico», e quanto accaduto «non c'entra con la nostra legge» sulle lobby. Il suo collega Luigi Gallo la butta sull'agiografico: «La vita di Beppe parla di un italiano al servizio degli altri e mai di interessi particolari e specifici». Idem il senatore Danilo Toninelli: «Beppe è l'unico a non essersi arricchito con la politica». Dagli avversari, al massimo, arriva qualche puntura di spillo ma nulla più. Tipo da Giorgia Meloni che parla di «nemesi» per il Movimento. Oppure da Matteo Renzi che auspica un atteggiamento più garantista da parte di certa stampa rispetto a quello rivolto agli indagati nell'inchiesta Open. Al di là del fatto che non c'è stata, ieri, nessuna valanga di strali, il punto politico è proprio quello: la linea che gli esponenti del Movimento, negli anni, hanno seguito sulle indagini altrui.

 

 

POST AL VETRIOLO
Ed è sufficiente agire per simmetria, ossia prendere la stessa fattispecie, il traffico di influenze illecite, per cogliere l'asprezza dei toni e l'insistenza nei messaggi. Il primo marzo 2017, quando infuriava un'indagine che ha tenuto banco a lungo, in un lungo post sul blog di Beppe Grillo, il Movimento 5 Stelle scriveva: «Oggi è stato arrestato l'imprenditore napoletano Alfredo Romeo, nell'ambito dell'inchiesta sugli appalti Consip in cui sono coinvolti anche il padre di Renzi, Tiziano, indagato con l'accusa di traffico di influenze» e gli altri (seguiva elenco) tirati dentro dall'inchiesta per svariate tipologie di reati. Poche settimane più tardi, una nota dei parlamentari del Movimento delle commissioni Giustizia e Affari Costituzionali, osservava: «Ricordiamo agli esponenti del Pd che si esercitano sempre nel tiro al bersaglio contro i pm che si occupano dell'inchiesta Consip che il quadro indiziario a carico di Tiziano Renzi, indagato per traffico di influenze, resta sostanzialmente invariato». L'indomani, 13 aprile, proprio Beppe Grillo in persona si pronunciava così: «Ricordiamo a tutto il Pd ed in particolare a Matteo Renzi che babbo Tiziano resta saldamente indagato nell'inchiesta per corruzioni negli appalti miliardari in Consip per il grave reato di traffico di influenze». Titolo del post: "Memento Renzi". Qualche mese più tardi, era il 12 dicembre, i componenti delle Commissioni Affari Costituzionali di Camera e Senato tuonavano: «Sull'inquietante vicenda Consip ricordiamo agli smemorati esponenti del Pd...», seguiva elenco degli indagati, tra i quali anche l'allora ministro dello Sport Luca Lotti, dove spiccava ovviamente «per traffico di influenze Tiziano Renzi». Questo il tamburellare fitto sul padre del leader di Italia Viva per il quale, va detto a onor di cronaca, la giustizia ancora sta facendo il suo corso. Ma la foga accusatoria risulta maggiormente paradossale considerando un altro caso, quello dell'indagine "Tempa Rossa".

 

 

TUTTO ARCHIVIATO
Scoppiò nel 2016, momento di apogeo politico del governo Renzi. Sempre di "traffico di influenze illecite" fu accusato l'allora compagno di colei che ricopriva l'incarico di ministro dello sviluppo economico, Federica Guidi. Secondo la procura di Potenza, l'uomo, Gianluca Gemelli, avrebbe approfittato del ruolo della sua partner per ottenere vantaggi economici intorno ad un centro di estrazione petrolifera in Basilicata. Implacabile partì la fanfara pentastellata di richiesta dimissioni all'indirizzo della Guidi, per un caso dai grillini definito "peggio di Tangentopoli". Lei le rassegnò, nonostante non fosse indagata. Gesto in cui Luigi Di Maio, a quel tempo componente del direttorio del Movimento, intravvide «un'ammissione di responsabilità chiara della Guidi». Insomma, un processo già bell'e fatto, su Facebook e sui giornali. Piccolo particolare: nemmeno un anno dopo, Gemelli fu archiviato. Ma non finisce qui: quanto i pentastellati ritenessero grave il «traffico di influenze illecite» lo dimostra anche la battaglia per inserire un emendamento nel ddl anticorruzione che prevedeva l'arresto in caso di flagranza. Era il 2018, ma pare una vita fa, come per tutte le posizioni poi dissolte nel tempo.

 

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