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Beppe Grillo indagato? Nel mirino anche Luigi Di Maio: quegli incontri sospetti

Luigi Di Maio

Lorenzo Mottola
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La linea politica dei Cinquestelle sta prendendo la piega più oscena: è arrivato il tempo del cannibalismo. Come le tribù della Papua Nuova Guinea, gli ultimi superstiti del Movimento iniziano a nutrirsi dei propri feriti per sopravvivere. Nessuna pietà, neppure se a terra ad agonizzare c'è una preda indigesta: il Fondatore, Beppe Grillo. Ancora prima di leggere le novità sul caso Onorato uscite ieri pomeriggio (il comico nelle chat suggeriva a ministri e parlamentari di "trattare bene" l'armatore che lo aveva messo a libro paga) sono partite le coltellate alla schiena del Garante plurindagato.

 

 

Sono stati proprio i vecchi amici del Fatto Quotidiano i primi a stroncarlo e a definirlo semplicemente "indifendibile" in un commento di Marco Lillo. Da notare: Marco Travaglio nella faida tra Conte e Grillo si è schierato con il primo, senza risparmiare bastonate al Creatore. Una simile ferocia però colpisce, da parte del giornale più vicino al partito degli Onesti. La ricostruzione del Fatto: il comico ha accettato soldi - 240mila euro in due anni dal proprietario della Moby per scrivere sul blog alcuni articoli e appoggiare le campagne di Onorato. E a prescindere dalla liceità dell'operazione resta un problema: «Se un politico si fa pagare da un armatore e perora i suoi interessi si trasforma in un lobbista».

E a spulciare i conti della Beppegrillo Srl, si scopre che la società avrebbe fatto molta più fatica a stare a galla senza questi rapporti. Insomma, il Garante s' è messo a pubblicare marchette a dir poco imbarazzanti per denaro («Vincenzo Onorato si sta battendo anima e cuore per salvaguardare i diritti dei nostri marittimi», scriveva senza risparmiar saliva). A questo aggiungiamo: nell'operazione aveva coinvolto anche Di Maio, come dimostrano alcuni degli articoli: «A Febbraio ho partecipato con Luigi di Maio all'incontro con l'associazione no profit "Marittimi per il Futuro" a Torre del Greco, perché credo fortemente che i diritti dei lavoratori vengano prima di ogni cosa».

 

 

Così nelle chat dei grillini emergono altre considerazioni preoccupanti, per loro. Quanto successo rischia di gettare un'ombra su tante battaglie pentastellate. Qualcuno potrebbe mettersi a ragionare su altri innamoramenti e passioni di Beppe, per esempio quella per la Cina. La linea difensiva scelta da alcuni senatori, ovvero il tentativo di qualificare Grillo come un privato cittadino esterno al Movimento, fa sorridere. «Da quando il M5S è in Parlamento, Grillo non ha mai messo bocca neanche su mezzo emendamento», hanno scritto mercoledì i parlamentari delle commissioni Lavori Pubblici e Trasporti. Spiegare agli elettori che i grillini non c'entrano con Grillo sarà però un'impresa ardua.

La barca affonda e due parlamentari ieri hanno annunciato l'addio. Uno è il deputato Bernardo Marino, che conferma che il suo problema con i Cinquestelle è rappresentato proprio dal caso Moby: «Sono entrato in Commissione trasporti proprio per il problema della continuità territoriale e della convenzione con Onorato. Ritrovarsi in questa situazione ti lascia con l'amaro in bocca». La seconda è la senatrice Elvira Evangelista, che ha scritto un curioso messaggio d'addio: «La linea del Movimento non poteva appartenermi. La mia formazione giuridica, da avvocato, mi porta ad avere come faro la Costituzione, che non è giustizialista». L'onorevole si sarebbe accorta solo ora che i grillini non sono esattamente dei garantisti. Roba da cannibali. 

 

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