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Se un pm sbaglia pagano i cittadini: perché siamo costretti a finanziare gli errori

Iuri Maria Prado
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Suscita riprovazione il caso, per fortuna non così frequente, del sopruso commesso dalle forze dell'ordine. Si dice: la violenza arbitraria fatta da chi rappresenta lo Stato costituisce l'ingiustizia somma, proprio perché ad abbandonarvisi è il funzionario armato per far rispettare la legge, non per violarla con il lasciapassare delle mostrine. Giustissimo.
Ma altrettanta riprovazione non suscita il caso, purtroppo non così infrequente, del sopruso di stampo giudiziario.

 

E' conclamata, pubblica e, soprattutto, intollerabilmente impunita, la presenza di funzionari che con un'altra divisa, e cioè la toga, e dotati di un armamento anche più micidiale, e cioè il potere di infierire sulla libertà, sui beni e sulla stessa esistenza fisica altrui, adoperano in maniera arbitraria quel loro potere enorme senza risponderne in nessun modo. Si tratta di pubblici funzionari che facendo malgoverno delle proprie attribuzioni compiono atti che conducono all'impoverimento, alla disperazione, alla morte di esseri umani sottoposti al loro dominio. Ma tutto questo succede senza che insorga un sentimento di ripulsa e condanna nemmeno vagamente comparabile a quello che invece si registra quando l'abuso è commesso da un poliziotto o un carabiniere.

 

 


Questa evidente disparità, non giustificata (anzi) dalle statistiche sugli abusi rispettivamente commessi dalle forze dell'ordine e dal potere togato, si manifesta peraltro con un corollario particolarmente odioso: e cioè che quelli che pagano per il crimine giudiziario sono sempre i cittadini. Prima quelli che subiscono quella violenza, e poi quelli chiamati a contribuire al risarcimento che lo Stato riconosce alle vittime dell'ingiustizia. In pratica, il contribuente remunera l'assoluzione dell'aguzzino in toga, e i soldi dati alle vittime dell'abuso giudiziario sono lo "scudo" grazie al quale continuano a commettersi gli abusi.

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