Cerca
Cerca
+

Giustizia, la guida di Filippo Facci: ecco come cancellare l'intoccabilità dei magistrati

Filippo Facci
  • a
  • a
  • a

Seconda puntata della mini-guida ai referendum sulla giustizia, necessaria anche perché i cinque testi dei quesiti che troverete il 12 giugno sono lunghi e incomprensibili. I dettagli per votare li trovate nello specchietto grafico. Ricordiamo che contemporaneamente si voterà anche in 978 comuni per le elezioni amministrative, e che la strategia dei nemici dei referendum (grillini, parte del Pd e l'Associazione magistrati) è che non si raggiunga il necessario quorum del 50 per cento + 1, senza il quale l'esito del referendum non avrebbe valore. Il loro obiettivo è palesemente lasciare tutto così com'è, quindi lasciare solo alla corporazione togata la facoltà di cambiare le proprie regole, come hanno sempre fatto: coi risultati disastrosi che sono sotto gli occhi di tutti, e che non si traducono solo in una giustizia ingiusta e con tempi che farebbero spazientire un monaco tibetano, masi traducono anche in un danno economico per l'economia del Paese che è necessario contenere per tenere il passo con gli altri paesi europei, in nessuno dei quali c'è così tanta inefficienza e soprattutto un assetto della magistratura paragonabile al nostro.

 

 

QUALE PROFESSIONALITÀ
Il referendum sulla professionalità dei magistrati. O, se vogliano, su una equa valutazione dei magistrati. Oggi funziona così: ogni quattro anni (non si sa perché proprio quattro) l'efficienza, la professionalità e l'idoneità dei singoli magistrati sono oggetto di una valutazione da parte del Consiglio superiore della magistratura (Csm) con una procedura che è data per scontata nei suoi esiti medi (quasi sempre positivi) e che, detto meno rispettosamente, viene considerata una barzelletta o poco più di un passaggio burocratico. Ci si esprime sul singolo magistrato sulla base di pareri elaborati dal Consiglio direttivo della Corte di Cassazione e dai Consigli giudiziari, due organi che hanno una composizione mista: oltre ai membri fissi, sono formati da magistrati (i togati) e poi da altri soggetti che non lo sono (i laici) che spesso sono avvocati o professori universitari in materie giuridiche. Ecco: quando c'è da valutare un magistrato, il parere di quest'ultimi laici (avvocati e professori) non conta nulla, anzi non è proprio previsto, non hanno diritto di voto: solo i magistrati - generica regola italiana - possono giudicare altri magistrati, nessun altro è degno. I laici possono dire la loro solo su questioni generali, organizzative, tecniche, parlare di tabelle e di criteri per l'assegnazione degli affari, vigilare sull'andamento degli uffici giudiziari e di quelli dei giudici di pace. Ma per quanto riguarda i «pareri per la valutazione di professionalità dei magistrati ai sensi dell'art. 11 del d.lgs. 160/2006», cioè i pareri che poi saranno trasmessi al Csm, loro non possono mettere becco. Il quesito referendario chiede semplicemente che anche avvocati e professori - e non solo magistrati- possano dire la loro.

 

 

PERCHÉ SÌ
Perché votare Sì. In tal caso significherebbe appunto che anche i citati laici, che del resto fanno già parte dei consigli giudiziari e degli organi direttivi, avrebbero diritto di voto, e la valutazione completamente autoreferenziale dei magistrati, che unicamente giudicano se stessi, finirebbe di essere la barzelletta che viene considerata oggi, e magari si comincerebbe addirittura a pensare che possa essere una cosa seria e attendibile e non solo un «cane non mangia cane». Perché votare No. Sono molto interessanti le motivazioni di chi vorrebbe che tutto continuasse com'è ora, perché fanno capire la sacralità e l'intangibilità che certi magistrati, semplici vincitori di un concorso, ritengono che riguardi solo e unicamente la loro casta.

QUESTIONI DI CASTA
In pratica dicono che gli avvocati non possono occuparsi delle valutazioni dei magistrati perché rappresentano la loro fisiologica «controparte» all'interno dei processi: quindi potrebbero esprimersi con opinioni preconcette e ostili. I professori di materie giuridiche non vengono citati, ma il sottinteso è che chiunque, su un piano teorico, rappresenti una potenziale controparte perché loro, i magistrati, rappresentano lo Stato mentre altri, per esempio gli avvocati, rappresentano solo i loro clienti: una superiorità sancita in molti altri ambiti (si pensi alle perizie: quelle dei pm, secondo la Cassazione, cioè secondo altri magistrati, hanno maggior valore di quelle degli avvocati: anche se le avesse redatte il Creatore in persona) e il concetto non fa che ribadire la sostanziale negazione di quella «pari dignità giuridica» tra accusa e difesa che il Codice del 1989 aveva tanto auspicato. Nessuno ci può giudicare, è il messaggio. 

Dai blog