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Eni-Nigeria, i pm De Pasquale e Spadaro rinviati a giudizio: di cosa sono accusati

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Nuovi sviluppi sul caso Eni-Nigeria: il procuratore aggiunto di Milano Fabio De Pasquale e l’ex sostituto Sergio Spadaro sono stati rinviati a giudizio a Brescia, con l'accusa di rifiuto d’atti di ufficio perché non avrebbero depositato nel febbraio-marzo 2021 prove favorevoli alle difese nell'ambito del processo per corruzione internazionale Eni-Nigeria, conclusosi con l’assoluzione di tutti gli imputati. Lo ha deciso il gup di Brescia Christian Colombo. Il dibattimento inizierà il prossimo 16 marzo davanti alla prima sezione penale del Tribunale di Brescia. 

 

 

 

Secondo l’accusa, gli "elementi di prova" raccolti sarebbero stati "non messi volontariamente a disposizione delle difese". La procura, come riporta Adnkronos, contesta a De Pasquale e Spadaro di non aver depositato le vere chat del telefono dell'ex manager Eni Vincenzo Armanna, dalle quali sarebbe emerso un suo rapporto patrimoniale di 50.000 dollari con il teste che doveva confermarne le accuse a Eni, il presunto 007 nigeriano "Victor". Ma non solo. Ai due pm viene contestato anche di aver taciuto su altri scambi di messaggi che avrebbero potuto far comprendere il ruolo di depistatore di Armanna e di non aver depositato la videoregistrazione "clandestina" di un incontro con l’avvocato Piero Amara nel quale Armanna, due giorni prima di presentarsi in procura con le prime accuse ai vertici Eni, avrebbe detto di essere pronto a volerli fare coprire da "una valanga di...".

 

 

 

Di diverso avviso la difesa, rappresentata dall’avvocato Caterina Malavenda, che ha sempre rimarcato come non si potesse parlare di omissione o rifiuto. Gli stessi magistrati, nella scorsa udienza del 2 novembre, avevano dichiarato: "Abbiamo operato nel pieno rispetto dei doveri d’ufficio". Per questo la Malavenda ha chiesto il proscioglimento dei suoi assistiti, sostenendo la bontà della scelta di non depositare inizialmente quegli elementi. De Pasquale e Spadaro sarebbero rimasti nei margini della "discrezionalità" concessa a chi indaga e avrebbero informato della questione l’allora procuratore Greco e la vice Laura Pedio. La tesi difensiva, comunque, non ha convinto il gup di Brescia.

 

 

 

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