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Ruby ter, ecco quanto ci è costata l'ossessione dei giudici

Paolo Ferrari
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Una indagine “no budget”. È quasi impossibile, infatti, quantificare quanto sia costata in questi anni l’indagine “Ruby” condotta dalla Procura di Milano. Ma sicuramente il conto raggiunge qualche decina di milioni di euro. Sono talmente tante le attività tecniche, le consulenze, le intercettazioni, ed i pedinamenti effettuati che fare una stima risulta quanto mai arduo. È sufficiente ricordare che gli accertamenti vennero condotti dal Servizio centrale operativo della polizia di Stato (Sco), uno dei reparti dell’eccellenza del Dipartimento della pubblica sicurezza, normalmente impiegato nel contrasto della grande criminalità organizzata. Gli agenti dello Sco, tanto per dirne una, qualche anno prima avevano arrestato il super boss Bernardo Provenzano.

La Procura di Milano, per capire i «rapporti tra Nicole Minetti, Lele Mora e Emilio fede in relazione al reato di induzione alla prostituzione anche minorile», come disse Ilda Boccassini, puntualizzando che l’indagine non era mirata «contro Silvio Berlusconi», mise in campo i migliori uomini e donne della polizia giudiziaria del Paese. Personale a cui non fece mancare nulla in termini di mezzi e di materiali. E gli uomini dello Sco non delusero le aspettative di Ilda la rossa, titolare del fascicolo, effettuando intercettazioni a tappeto con il meglio che la tecnologia offriva in quegli anni.

 

 

 

ATTIVITÀ INVESTIGATIVA

Una premessa è d’obbligo: nel 2010 le attività di intercettazione erano effettuate in modo diverso dall’attuale. Ad esempio, i cellulari non avevano al loro interno sistemi di geolocalizzazione. Per capire, quindi, dove si trovassero Ruby e le olgettine era necessario analizzare le celle telefoniche. Oggi la precisione è di 3 ' qualche metro, all’epoca il range raggiungeva an- che i 5 kilometri. Per capi- re se le ragazze si trovassero ad Arcore bisognava allora incrociare centinaia di tabulati e spesso non era neppure sufficiente perchè i cellulari, anche se in quel momento vicini fra loro, potevano “agganciare" celle diverse. Il lavoro fu dunque titanico. Fu titanico, poi, anche il lavoro per tracciare le spese di chi aveva partecipato alle serate di Arcore. Tutti i conti furono passati al setaccio, come furono passati al setaccio gran parte delle attività immobiliari riconducibili a Berlusconi. Non potevano mancare i pedinamenti, vedasi il caso di Lele Mora. Attività quanto mai difficile in quanto villa San Martino nel 2010 aveva all’esterno un maxi presidio fisso di 90 carabinieri al giorno, integrato da unità cinofile con compiti di polizia. Il rischio di essere “scoperti” da parte dello Sco era altissimo.

ALBERGHI A 5 STELLE

Anche i principali alberghi milanesi a cinque stelle vennero scandagliati per verificare se al loro interno qualcuna delle ragazze che partecipava alle serate di Arcore vi si prostituisse con clienti facoltosi. Vennero pure trascritte tutte le conversazione sui vari numeri di emergenza. Le telefonate ascoltate, comunque, furono un numero spropositato. Solo per Nicole Minetti si trattò di diecimila telefonate. Furono sei mesi di investigazioni senza pari che permisero alla Procura di raccogliere prove schiaccianti al punto che per Berlusconi venne chiesto il giudizio immediato.

Lo sforzo della Procura si evince dall’avviso di chiusura delle indagini, un tomo di circa 400 pagine, allegati esclusi. A questo punto, una domanda sorge spontanea. Una affermazione ricorrente è che ai magistrati italiani mancano uomini, mezzi, che non ci sono soldi per le intercettazioni e manca la benzina per le auto della polizia.

 

 

 

PAGANO I CITTADINI

Nell’indagine Ruby tutti questi problemi sono stati superati. A ciò si aggiungono i filoni, Ruby bis e Ruby ter. Anche in questo caso accertamenti a tappeto, centinaia di interrogatori. Infine, i costi dei processi: centinaia e centinaia di udienze che si sono tenute nei vari tribunali in questi ultimi dieci anni. Ovviamente chi ha messo in piedi tutto ciò non pagherà un euro. Pagheranno, come sempre, i cittadini italiani a cui invece tocca in sorte un sistema giudiziario che fa acqua da tutte le parti al punto che ormai preferiscono denunciare i reati subiti su Fb e non in un commissario di polizia o in una stazione dei carabinieri. 

 

 

 

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