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Giustizia, quante ombre sulle amministrazioni giudiziarie: aziende in crisi e corruzione

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Le recenti cronache giudiziarie che hanno visto il giudice del Tribunale di Latina tradotto in carcere con l’accusa di aver commesso gravi reati in concorso con il suo consulente di fiducia offre lo spunto per fare una riflessione allargata sulle amministrazioni giudiziarie. Queste soluzioni sono previste per garantire la continuità del ciclo produttivo di beni sequestrati in un processo penale.

Il giudice per le indagini preliminari, su richiesta del pm che conduce le indagini, può disporre il sequestro preventivo di patrimoni, aziende, conti correnti, beni mobili ed immobili di cui è consentita anche la confisca. In tale ipotesi, al fine di assicurare la custodia, la conservazione e l’amministrazione dei beni sequestrati, il giudice che ha disposto il sequestro, nelle more dello svolgimento delle indagini e dell’istruzione del processo, quando sia sequestrata una o più aziende cui assicurare la continuità del ciclo produttivo ed i livelli occupazionali, procede alla nomina di un amministratore. Egli opera in stretto rapporto con il giudice, il quale autorizza di volta in volta il compimento degli atti anche di straordinaria amministrazione.

MALEFATTE
L’indagine di Latina che ha coinvolto il giudice e il suo fiduciario nominato amministratore giudiziario di aziende sequestrate è solo l’ultimo anello di una lunga catena che negli ultimi tempi ha portato alla luce le malefatte e le corruttele consumate attraverso le amministrazioni giudiziarie. Su tutti, si pensi alla recente condanna (non definitiva) del giudice palermitano Saguto che avrebbe ricevuto in cambio delle nomine favori di qualsiasi genere, perseguendo un uso distorto del potere, spinto da uno spasmodico desiderio di assicurarsi un tenore di vita elevato. Ma oltre ai casi di corruzione, i risultati economici delle amministrazioni giudiziarie sono spesso disastrosi. I consulenti nominati dal giudice talvolta portano al fallimento le aziende sequestrate o esse non vengono gestite secondo criteri di economicità ed efficienza, ma con un grande dispendio di risorse in consulenze ed incarichi a terzi soggetti. E quando sono restituite al legittimo proprietario al termine del processo penale che ne ha decretato l’innocenza, risultano in grave crisi.

Ma, sul piano teorico, il sequestro con conseguente nomina dell’amministratore giudiziario evidenzia una forte criticità nel rapporto con il principio di presunzione di innocenza. Si assiste infatti a punizioni che incidono sul patrimonio dell’individuo, senza che sia stata provata la sua colpevolezza con un accertamento definitivo da parte dell’autorità giudiziariar. Vi è un ribaltamento delle posizioni, dove l’onere della prova di dimostrare la legittimità del suo operato è in capo al sospettato e non all’autorità giudiziaria di provare il contrario. E per l’autorità giudiziaria il mero sospetto assurge così automaticamente a prova. Quali i rimedi? Sicuramente prudenza e maggiore moderazione nell'irrogazione di tali misure cautelari e poi spezzare l’ambiguo cordone tra i magistrati e i soliti consulenti, predisponendo un elenco di autorevoli professionisti a cui a rotazione o mediante pubblica estrazione vengono assegnati gli incarichi da un soggetto terzo. E da ultimo, attribuire un effettivo potere di vigilanza e controllo al titolare dell’azienda estromesso.

di Pieremilio Sammarco
prof ordinario di Diritto Comparato

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