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Quando i costituzionalisti sono mandarini anti-riforme

Corrado Ocone
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Il tema delle riforme non ha molto appeal, è vero. Che esse siano necessarie nessuno può però, in buona fede, negarlo. Necessarie perché la nostra macchina amministrativa e le nostre istituzioni si sono come anchilosate e qualsiasi decisione politica è sempre a rischio di infrangersi contro le forche caudine che il “sistema” ha eretto nel tempo. Su questo hanno convenuto non solo le forze politiche, di destra come di sinistra, ma anche quella sorta di casta che sono diventati negli anni i costituzionalisti. Veri e propri mandarini anti-riforme. Il fatto è che però, essendo questi ultimi (come in genere tutti gli intellettuali italiani) per lo più orientati a sinistra, le loro idee hanno non poche volte mostrato un accentuato doppiopesismo che poco si addice a uomini di studio e di dottrina.

In sostanza, quando al governo ci sono stati i partiti di destra, quelle riforme, in altri tempi ritenute indispensabili, sono diventate di colpo inutili e persino pericolose. È una storia che sembra ripetersi pari pari anche con questo governo, che sul tema delle riforme, a cominciare dal combinato disposto di premierato e autonomia differenziata, ha investito non poco, pur nella consapevolezza che fosse necessario procedere con cautela e cercando il più alto consenso possibile. Abbiamo così assistito, nelle scorse settimane, alle dimissioni, ancor prima che iniziasse il lavoro, di quattro eminenti costituzionalisti dalla Commissione sulla riforma Calderoli presieduta da Sabino Cassese.

 

 

Oppure ad affermazioni come quelle di Michele Ainis, che ha messo in dubbio persino la necessità di avere in Italia governi stabili, nonostante la loro mancanza sia stata da sempre ritenuta da tutti un vulnus per il nostro Paese. Certo, i progetti di riforma devono essere ben fatti e organici, con un adeguato meccanismo di pesi e contrappesi. Un tavolo di esperti a tal fine può essere di fondamentale importanza. Ma se costoro lo fanno saltare e rispondono picche alle richieste di collaborazione del governo, cosa dobbiamo pensare se non che l’interesse di parte fa in loro aggio sull’interesse nazionale e sul necessario senso dello Stato?

 

 

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