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Inamovibilità dei giudici: è un problema oppure un valore?

 Toghe

Bruno Ferraro*
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Nel Paese che ha conosciuto nella sua storia forti ondate di emigrazione, in Europa come nelle Americhe, la scarsa propensione alla mobilità dei giudici fa da controtendenza. Una ragione è da ricercarsi nella inamovibilità che, garantita a livello costituzionale come presidio di indipendenza, consente a tutti i magistrati, fatta eccezione per gli uditori di prima nomina, di scegliere il posto ove esercitare la funzione, al limite fino all’ultimo giorno di carriera. Nel tempo si è cercato di porre un rimedio, limitando ad un periodo massimo di otto anni la permanenza dei capi di ufficio (Presidente di Tribunale e di Corte di Appello, Procuratore della Repubblica e di Corte presso gli stessi uffici), senza poter estendere la normativa anche ai singoli giudici a causa dello sbarramento della norma costituzionale. Così però registriamo un paradosso perché normalmente i capi di ufficio esercitano le funzioni giudiziarie in misura ridotta al contrario dei giudici che ne hanno una titolarità piena e che per la maggior parte delle cause decidono da soli senza il controllo di un collegio.

L’inamovibilità è ancora un valore? Posto che è miseramente fallita anche la politica degli incentivi economici per quanti scelgono di andare in una sede disagiata, mi sembra di poter indicare come soluzione praticabile quella di non consentire tramutamenti (rectius trasferimenti funzionali) nell’ambito dello stesso Distretto di Corte di Appello: e ciò sempre, anche per la richiesta di funzioni analoghi ed a maggior ragione ad ogni cambio di qualifica (leggasi promozione). Prenderebbero vigore, con una maggiore mobilità dei giudici, gli stimoli procurati dalla conoscenza di nuove realtà territoriali e dalla necessaria convivenza con funzioni diverse.

 

 

 

Personalmente nei 45 anni trascorsi all’interno della magistratura ho avuto modo di assaporare esperienze di spostamenti diverse, sia funzionali che territoriali, che mi piacerebbe veder diventare una norma per tutti i colleghi. Infatti ne trarrebbero vantaggio sul piano del fervore, del dinamismo funzionale, della vivacità spirituale, dell’entusiasmo complessivo, di un modo positivo di leggere ed interpretare la realtà di tutti i giorni. Il Ministro della Giustizia, Carlo Nordio, ci faccia un pensiero, ponendo rimedio all’appiattimento funzionale ed alle incrostazioni di potere che il sistema attuale inevitabilmente comporta. 

*Presidente Aggiunto Onorario Corte di Cassazione

 

 

 

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