L'Italia è l'opposto degli Usa: la sinistra spera nei tribunali per salire al potere

di Daniele Capezzonedomenica 29 giugno 2025
L'Italia è l'opposto degli Usa: la sinistra spera nei tribunali per salire al potere
3' di lettura

Sì certo: ai compagni lo ius soli piace, anzi strapiace. Lo sognerebbero anche qui, nonostante lo schiaffone referendario già rimediato a inizio giugno sulla cittadinanza. Così come, altrettanto sicuramente, i nostri progressisti detestano Trump qualunque cosa dica e faccia. Se anche – magari impazzito – arrivasse qui e raccomandasse di votare per Elly Schlein («She’s fantastic» o una frase del genere), loro lo insulterebbero lo stesso. «A prescindere», avrebbe detto Totò.

Morale: la gran passione per lo ius soli e il pervicace odio contro Trump già basterebbero e avanzerebbero per spiegare le calde lacrime versate ieri dalle maggiori firme delle redazioni progressiste (quindi, quasi tutte) contro la sentenza della Corte Suprema americana che ha salvaguardato la sfera di intervento presidenziale (attraverso lo strumento dell’executive order) contro le intromissioni giudiziarie.

Ma – pensandoci bene – c’è molto di più. I nostri compagni non stanno in pena per i bimbi immigrati che non potranno diventare cittadini americani (o non potranno farlo troppo presto): tra l’altro, su quello specifico punto di merito, la battaglia politica e giudiziaria proseguirà.

No: loro stanno avvelenati per una questione di metodo. Il loro vero sogno – in Italia, in America, ovunque – è quello di un potere giudiziario che, al bisogno, possa rovesciare le decisioni politiche. E, in seconda battuta, buttare giù anche i governi sgraditi.

È il “modello italiano” che qui è stato ampiamente sperimentato dal 1992 a oggi, cioè l’uso politico della giustizia. Nei casi più limitati, per sparacchiare dai tribunali contro una norma sgradita: si parte con un giudice che disapplica una norma, un altro che la distorce, un altro ancora che solleva la questione davanti alla Corte Costituzionale. E quest’ultima – in passato è accaduto in innumerevoli occasioni – che si ritaglia un ruolo di fatto da legislatore, da “terza Camera” aggiuntiva o addirittura sostitutiva rispetto a Montecitorio e a Palazzo Madama. Piccolo “dettaglio”: la Costituzione ha previsto due sole Camere, non tre.

Ma c’è anche l’opzione nucleare, largamente applicata contro Silvio Berlusconi: l’uso dei tribunali per tentare direttamente di eliminare dalla corsa l’avversario che rischi di vincerla, o che l’abbia già vinta, o che non si riesca a battere democraticamente nelle urne. Quel modello italiano è stato oggetto di “export” in questi anni: in America, ci hanno provato con Trump, cercando di buttarlo fuori gara quando ancora sembrava che il suo rivale dovesse essere Joe Biden.

Non ce l’hanno fatta, ma non è escluso che ci riprovino, in una forma o nell’altra. Ecco: l’altra sera la Corte Suprema Usa, senza occuparsi del secondo caso, ha tagliato le unghie al potere giudiziario rispetto al primo. Come? Circoscrivendo nettamente – e saggiamente – la possibilità dei giudici a qualsiasi livello di entrare a gamba tesa nella sfera delle decisioni politiche.

Prevengo un’obiezione: ma vincere un’elezione non significa “prendere tutto”, deve pur esserci un vaglio giurisdizionale della correttezza delle azioni di un vincitore. Certo che sì, obiezione accolta: anche questo appartiene alla fisiologia della separazione dei poteri. Cos’è invece che suona inaccettabile? La pretesa di vincere in tribunale le partite politiche perse nelle urne.

Ecco dunque il punto. Chiunque – legittimamente – voglia azzoppare Trump deve aspettare novembre 2026, quando sono calendarizzate le elezioni parlamentari cosiddette di mid-term: lì scopriremo se Trump manterrà la maggioranza parlamentare o se, com’è successo a numerosi presidenti nella seconda metà del loro mandato, sarà ridotto alla condizione di “anatra zoppa”. Ma quella decisione spetta agli elettori, non alle toghe. In America il concetto – dall’altra sera – è più chiaro; in Italia purtroppo ancora no.

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