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Referendum sulla giustizia, il tribunale diventa il comitato del No

Come viene sfruttato a fini politici un luogo la cui imparzialità dovrebbe essere sacra. L'obiettivo? Sempre il governo...
di Fausto Cariotisabato 18 ottobre 2025
Referendum sulla giustizia, il tribunale diventa il comitato del No

(Libero)

3' di lettura

Si può usare il luogo in cui l’imparzialità dovrebbe essere sacra, il tempio della Giustizia con la bilancia in mano, per promuovere un’iniziativa di parte, contro il governo e chi condivide l’esigenza di separare le carriere dei magistrati? Si può trasformare un’istituzione che appartiene a tutti, come il tribunale, nel posto da cui parte la campagna contro la riforma, il tema che nei prossimi mesi spaccherà in due l’Italia? È corretto invitare scolaresche e cittadini a un evento «sui valori costituzionali», con personaggi dello spettacolo e dell’informazione (tutti di sinistra, ça va sans dire), e usare l’occasione per lanciare il comitato promotore per il No? Domande che l’Anm del distretto di Napoli non si è posta. O magari se le è fatte, ma ha risposto comunque con un’alzata di spalle. In ogni caso, useranno il palazzo di Giustizia come cosa loro.

L’appuntamento è fissato alle 14.30 di domani, nell’aula Arengario della Corte d’appello. Oltre trecento posti a sedere, video-wall ad alta risoluzione: meglio della sala di un cinema o di un teatro, senza il fastidio di doverlo affittare. Ogni grande tribunale ha luoghi del genere: sono usati per ospitare dibattiti e iniziative sui temi normativi, momenti di confronto tra esperti del diritto. Stavolta sarà il set di un’operazione di propaganda politica, senza contraddittorio.

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Il volantino digitale che gira nelle chat degli addetti ai lavori e il comunicato sul sito dell’Anm chiamano a raccolta per la «Giornata della Giustizia», termine che più vago non potrebbe essere. Annunciano che i magistrati del distretto di Napoli accoglieranno «giovani, studenti, associazioni e cittadini in una maratona di idee, dibattiti e spettacolo». Si parlerà di «giustizia, pace, parità di genere» con i giornalisti Giovanni Floris, Conchita Sannino e Massimo Giannini, con magistrati come Nicola Gratteri e Patrizia Imperato, la cantante Fiorella Mannoia, la scrittrice Viola Ardone (che a febbraio ha partecipato alla mobilitazione contro la riforma) e don Luigi Ciotti (che ha già lanciato un appello «a sostegno della magistratura»). Ci saranno magistrati dell’Osservatorio sulla violenza di genere.

La solita compagnia che ruota intorno a La7, Repubblica e Il Fatto, insomma. Convocata per quello che sin qui sembra un normale sabato di amichettismo progressista. Il mistero viene svelato in fondo, come se fosse un dettaglio secondario e non la vera ragione di tutta la vicenda (forse un rigurgito d’imbarazzo per l’uso irrituale dei locali del tribunale, chissà). Bisogna arrivare alla fine per leggere che «sarà presentato anche il comitato promotore per il No alla riforma costituzionale in materia di separazione delle carriere, interverranno Marinella Graziano e Gerardo Giuliano», vicepresidente e segretario del comitato.

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I cronisti del Mattino, ben introdotti da quelle parti, aggiungono che sarà «una sorta di notte bianca della giustizia al cospetto di scuole e docenti e di quanti vorranno prendere parte». Si confida nel traino degli insegnanti. «Roba che se un sindaco facesse lo stesso nel Palazzo Comunale lo metterebbero sulla graticola», commenta sul web il deputato di Forza Italia Enrico Costa. Rimarcando che «ovviamente al Csm si dorme beatamente», e chissà se adesso qualcuno si sveglierà.

Ce n’est qu’un début, è solo l’inizio di una lunga e cruenta campagna. Il sindacato delle toghe ha deciso che non esiste confine tra magistratura e comitato per il No, al punto da usare il tribunale come il palco di un comizio. Una sovrapposizione che nega anche il diritto di cittadinanza a giudici e pm favorevoli alla riforma (una minoranza, ma ci sono). Dopo Napoli, se nessuno interverrà, seguiranno i distretti giudiziari delle altre città.

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Ci rimettono la credibilità della magistratura (quel che ne resta) e gli italiani convinti che gli elettori possano darsele di santa ragione, ma le istituzioni debbano restare fuori dall’ordalia. Che poi è l’abc della convivenza nelle democrazie liberali, ma se uno ha studiato Diritto pubblico, si è laureato in legge e non lo ha capito, spiegarglielo ora è tempo perso.