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Alfano e Maroni, delfini diversi

Alfano e Maroni, delfini diversi

Uno si prende la Lega Nord, l'altro sta perdendo il Pdl

Andrea Tempestini
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Alcuni mesi fa, esattamente quando la crisi del governo Berlusconi era evidente e si stava cercando una soluzione alternativa, qualcuno ipotizzò il tandem Angelino Alfano-Roberto Maroni. Il primo, dopo una lunga esperienza come Guardasigilli, era il reggente del Pdl designato dal Cavaliere; il secondo era il ministro di punta di quel governo, alto nei sondaggi. Non se ne fece nulla. Tuttavia, entrambi si sono ritrovati a giocare una partita politica per nulla secondaria dentro i rispettivi partiti. Con la differenza che mentre Maroni, questa partita, l'ha giocata convintamente, lo stesso non si può dire per Alfano. E non si può certo affermare che la strada per il leghista sia stata più agevole che per il collega pidiellino. Roberto Maroni ha tessuto la propria tela con sapienza, non ha mai forzato i tempi ed ha saputo sfruttare le debolezze dell'avversario, il famoso Cerchio Magico. È stato bravo a organizzare la base, a motivare i giovani e a puntare sui sindaci. Ma soprattutto ha avuto il coraggio e la fermezza di dire apertamente che le cose dentro il partito non andavano più bene, che via Bellerio stava diventando la fortezza arroccata e staccata dai problemi concreti del territorio. In altre parole, la Lega stava diventando meno Lega. Gli attriti con l'allora capogruppo Reguzzoni, con Rosi Mauro e tutto il giro annesso, culminarono con l'ordine di vietare a Maroni interventi in pubblico. Non sto qui a raccontare punto per punto la battaglia d'orgoglio ingaggiata dall'ex ministro, basta rilevare l'ultimo atto: la rinuncia di Bossi a ricandidarsi segretario federale e il conseguente appoggio del Capo all'ormai ex suo delfino. Maroni insomma è arrivato alla guida del Carroccio dopo essersi contato internamente e dopo aver affrontato lo stesso Umberto Bossi alla pari, senza ferirlo nell'orgoglio ma senza per questo concedergli sconti sull'ultima gestione del movimento. I due si sono affrontati alla pari. Ed era inevitabile che ciò accadesse: l'alternativa era o salvare i simboli o salvare il movimento. Ha prevalso la seconda tesi; ma – ripeto – per ottenere il punto, Maroni ha dovuto metterci la faccia, affrontare a viso aperto i propri avversari. Dopo il congresso che lo voterà nuovo segretario, Maroni dovrà caricarsi la nuova Lega sulle spalle e ritornare da quel popolo del Nord con l'umiltà di chi deve ripartire dal basso. Rispetto agli esordi, la Lega non potrà contare sull'effetto sorpresa visto che in parlamento e nel governo c'è stata persino con ruoli di gran rilievo. L'effetto sorpresa lo giocherà un suo antagonista: Beppe Grillo, il quale nei comizi ha fatto proprio parte di quel linguaggio lumbard contro lo Stato sprecone, contro l'eccesso di tassazione e contro l'Europa dei poteri forti. Maroni – e chiudo – è la Lega nuova, la Lega concreta della sicurezza, della lotta alla criminalità organizzata, la Lega che non s'aggrappa alle provocazioni verbali. Maroni era uno dei ministri più apprezzati in assoluto perché politico concreto: ebbene quella concretezza oggi la può spendere per rilanciare il movimento, puntando sui giovani, sui sindaci e sull'entusiasmo di chi ci sta. Questa partita, all'opposto, non l'ha giocata Angelino Alfano. Il suo rapporto con Berlusconi soffre di eccessiva soggezione, il che non gli consente di cambiare il passo. Alfano poteva rappresentare un elemento di novità, non fosse altro per motivi anagrafici. Invece dal modo di parlare, dal look e soprattutto da come si muove nel partito, l'ex Guardasigilli fa di tutto per apparire... Tutankhamon. La sconfitta siciliana non solo ha evidenziato uno scarso radicamento sul territorio (ma questo era già sotto gli occhi di tutti per la piega che prese il governo Lombardo), questa consente ai colonnelli del Pdl – soprattutto gli ex An – di incolpare Alfano per la leggerezza rispetto al governo Monti. Alfano aveva tra i piedi una palla gol che non ha saputo sfruttare: a differenza di Maroni gli è mancato il coraggio di dribblare e calciare in porta. Non ha saputo né emozionare né organizzare. Sta a galla; ed è un po' poco per un partito che avrebbe dovuto rivoluzionare la politica italiana.  di Gianluigi Paragone

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