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Forza Italo, un direttissimo per Palazzo Chigi

L'intesa Silvio-Luca è pure una questione d'interessi: il primo vuol tenere il pallino, l'altro ha idee liberali e nuovi dirigenti

Andrea Tempestini
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  Il direttissimo per Palazzo Chigi potrebbe chiamarsi Forza Italo, avere Berlusconi alle caldaie e Luca Cordero di Montezemolo ai comandi coi galloni di capotreno. Quello che, ad anni alterni, è stata suggestione estiva, follia politica, eterno chiacchiericcio capace solo di arrugginire blocchi di partenza, oggi appare come percorso fattibile, addirittura scatenato da un eventuale precipitare della situazione parlamentare. "Caro Silvio, non puoi più scendere in campo" Leggi il commento di Giampaolo Pansa In fondo, si tratta - anche - di una convergenza di interessi. L'ex presidente di Confindustria, che in questi mesi ha collezionato più smentite del suo impegno diretto imminente che poltrone, ha letto con un sorriso l'anticipazione di Libero dedicata a un Berlusconi che avrebbe in mente una figura a lui simile - se non proprio lui. Non perde ovviamente l'aplomb silenzioso, non conferma né smentisce, incassa i complimenti «per il treno» (Italo appunto) da parte di Alfano e Casini. Intanto, però, lavora, come spiega a Libero Andrea Romano, braccio operativo di Montezemolo e capo del think tank «Italia Futura». «Noi ci siamo, siamo sul territorio rispetto all'impostazione “accademica” dei primi mesi, teniamo all'apertura di un cantiere di qui al 2013. La politica è di fronte a un drammatico problema di classe dirigente e di contenuti, e il nostro impegno è a sanare questi due fronti, prima di parlare di leadership e di scatole o contenitori».  Però l'apertura al Cav sparigliante e rivoluzionario si avverte, eccome. L'analisi del team dell'ex leader Confindustria non lascia spazio a equivoci: la sinistra italiana ha fatto una scelta «hollandiana, socialdemocratica», non sostenibile nella realtà economica attuale. Questo «crea molti disagi, e lascia potenzialmente senza rappresentanza una fascia di opinione pubblica liberale e democratica». Quella che, più o meno, Berlusconi chiama dei «moderati». È come se uno avesse tuttora a disposizione faccia, soldi e voglia di combattere, l'altro un pacchetto di idee e altre facce, meno «usate». Il combinato disposto, con questi chiari di luna, può persino funzionare, e far dimenticare in fretta molte altre cose. Un matrimonio di interessi che Romano non può confermare, ma i cui tratti si intravvedono  nelle pur misuratissime parole del politologo: «C'è un rischio di dispersione di quest'area liberaldemocratica. Berlusconi ha cambiato la storia di questo Paese intercettando quest'area e vincendo, andando al governo. Qualunque lavoro per ricomporre l'offerta politica con cui restituire rappresentanza credibile in quest'area ci interessa, purché non sia un problema di scatole e poltrone. Di certo non si può pensare di restare ad annunci o boutade come l'azzeramento delle cariche di un partito: sono operazioni che conosciamo e che servono a conservare le stesse oligarchie al potere». E sentire un montezemoliano doc parlare di «spirito del '94», di «lavoro prezioso da parte di Alfano», di «rispetto per la maturazione del Pdl», deve indurre a qualche riflessione.  È dunque, quella che semplificando si può chiamare convergenza non parallela tra Cav e LCdM, anzitutto una questione di realismo. E malgrado la bacchettata rifilata anche a mezzo web da Italia Futura a Casini (e ribadita a Libero: «L'Udc ha un problema di personale politico»), è difficile immaginare che Pier e i suoi non abbiano a che fare con Forza Italo, se non altro per attraversare i binari. In che modo, si vedrà. Vista la forma molto burlesque di Berlusconi, è difficile pensare che non approfitti di queste convergenze. Lo stesso Romano conferma che gli incontri «ci sono stati, e ci saranno», e nulla più. Il giudizio sul governo Monti resta sospeso, aperto a riconoscimenti e critiche. La prossima iniziativa, di Italia Futura, però, sarà molto stile «Forza Italia» prima ora: una iniziativa per sollecitare un piano di dismissioni del patrimonio pubblico. Vedi mai, partisse la campagna elettorale. di Martino Cervo  

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