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L'ultimo spreco dell'Alitalia:

60 sedi sparse per il mondo

Albina Perri
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 E' una vitaccia quella del povero Augusto Fantozzi, il commissario nominato con l'ingrato compito di liquidare quella che fu l'Alitalia. Ogni giorno sulla sua scrivania piombano rogne a palate: creditori, insolvenze, noie imprevedibili. Come quella di scoprire che il gruppo aveva "accumulato" una sessantina di sedi in giro per il mondo. Tutte aperte, funzionanti. Da mantenere. Per esempio all'aeroporto londinese di Heatrow: la compa­gnia di bandiera italiana sti­pendiava 300 (trecento)per­sone, e tante sono rimaste do­po, quando le destinazioniin­ternazionali dell'Alitalia si erano ridotte a una sparuta quindicina. Una bella gatta da pelare, considerando i costi che già ostacolavano la liquidazione. C'era una sede in Libia, chiusa giovedì scorso. Una in Senegal.Addi­rittura due in India: a Mum­bai e Nuova Delhi. E via così.Abbassare la serranda di quegli uffici è complicatissi­mo. Un altro esempio? La sede di Hong Kong, dove l'Alitalia non vola più da tempo, e dal 2008ha soppresso anche i collega­menti cargo. Quindici dipen­denti e unconto di 1.200 dol­lari al giorno per il lussuoso hotel Hyatt. Fantozzi e i suoi hanno calco­lato che nelle banche in giro per ilmondo l'Alitalia abbia depositi per molti milioni di euro. Quanti?Decine. Forse una cinquantina. Non saran­no la soluzione, ma perchéla­sciarli lì?

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