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Il disastro Ilva insegna:i giudici sbagliano,guai a farne dei santi

Pansa: "Il salvataggio dell'acciaieria è necessario per il bene del Paese. Il pm Todisco ha sbagliato due volte"

Matteo Legnani
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   In un vecchio disegno di Altan compariva un omino dall'aria pensierosa. La battuta diceva: «Sono preoccupato perché comincio ad avere delle idee che non condivido». Anche a me talvolta succede. Ma non nel caso dell'Ilva di Taranto. A proposito di questo dramma ho tre idee semplici e chiare, che condivido del tutto. Primo: l'Ilva non può chiudere. Secondo: l'Ilva va bonificata, ma deve continuare a lavorare. Terzo: il costo della bonifica deve essere  pagato dai proprietari, ossia dalla famiglia Riva, e soltanto in parte dallo Stato, ovvero da noi contribuenti  onesti che già versiamo una montagna di tasse.  Al di là di questi tre cardini che considero sacrosanti e invalicabili vedo soltanto il caos prodotto dai tanti vizi nazionali. Uno è di certo la santificazione della magistratura. Ma tutti i giudici sono esseri umani e possono sbagliare. Come qualsiasi altra corporazione, a cominciare da chi scrive sui giornali, sono professionisti diversi l'uno dall'altro. Molti lavorano con grande serietà e molti soltanto all'ingrosso. Considerarli tutti dei Superman senza difetti è un errore consolidato negli anni. Molto difficile da ammettere e, soprattutto, da rimediare.   In casa nostra l'errore è diventato gigantesco perché l'Italia è una nazione che più di altre si è trovata alle prese con due mostri imbattibili. Uno è la presenza devastante della grande criminalità organizzata che ha affiancato la forza della madre di tutte le delinquenze, la mafia di Cosa nostra. Il secondo è il prosperare della corruzione politica, esplosa all'inizio del 1992 con il grande bubbone di Tangentopoli.   La mia generazione di cronisti, cresciuta negli anni Ottanta e Novanta, è stata segnata dall'appoggio sacrosanto ai magistrati che hanno perso la vita per difendere la legalità repubblicana. Penso a Giovanni Falcone e a Paolo Borsellino, morti in trincea. Insieme a loro abbiamo imparato a venerare i giudici assassinati dal terrorismo politico, tanto da quello rosso che da quello nero. Quando poi è apparso il merdaio tangentizio siamo stati dalla parte dei tanti pool di Mani Pulite.   Guardare da vicino e venerare gli eroi di quelle stagioni ci ha fatto dimenticare che non tutta la corporazione dei magistrati risultava uguale a loro. Conclusa l'epoca delle guerre ci sono apparsi con chiarezza le qualità e i difetti di chi amministra ogni giorno la giustizia. Nessuna professione si regge soltanto sugli eroi. Anche i magistrati italiani non sono diversi dai loro colleghi di altre nazioni democratiche. In più di un caso, commettono gli stessi passi falsi. Con errori gravidi di conseguenze. Soprattutto quando applicano la legge senza tenere nel dovuto conto gli effetti che derivano dalle loro decisioni.   L'età mi ha insegnato una verità: l'uso neutrale e asettico del codice civile o penale è una pura chimera. Saremmo di fronte a una perfezione che non esiste in natura. Per questo non mi scandalizza la decisione del Gip di Taranto che ha decretato la chiusura dell'Ilva. I sostenitori del giudice Patrizia Todisco fanno di lei un'eroina, mentre i suoi denigratori la vorrebbero crocifissa. Entrambe le fazioni sbagliano.   La signora Todisco ha soltanto commesso un errore, sia pure uno di quelli pesanti. Per poi ricascarci una seconda volta, sulla base di una convinzione che non conosce remore. Era fatale che altri poteri, a cominciare dal governo, reagissero. Adesso possiamo soltanto sperare che lei, o qualche altro magistrato al suo posto, non persista nello sbagliare una terza volta. Perché in questo caso le conseguenze diventerebbero senza rimedio e con un solo risultato: determinare una catastrofe che nessuno riuscirebbe ad attenuare.  Non è la prima volta che in Italia il diritto al lavoro confligge con il diritto alla salute. Lo so bene perché vengo da una città, Casale Monferrato, dove è ancora in atto una strage innescata molti anni fa da una fabbrica del diavolo. Aveva un'insegna che oggi dà i brividi: Eternit, l'inferno dell'amianto. Quanti sono i morti per mesotelioma pleurico nella mia piccola patria? Forse abbiamo toccato quota duemila. L'Eternit è chiusa da decenni, però molti continuano a morire di quel cancro.   Quante sono le persone uccise dai veleni dell'Ilva? Ecco un dato che non ho scoperto in nessun giornale. Ma se l'Eternit è una fabbrica scomparsa da tempo, l'Ilva è una acciaieria ancora attiva. Lo stabilimento di Taranto dà lavoro, e dunque vita, a migliaia di persone. Molti altri operai e impiegati sono occupati in due fabbriche collegate, a Genova e a Novi Ligure. In complesso si tratta di circa ventimila esseri umani e questo significa altrettante famiglie. Che facciamo di tutta questa gente? Vogliamo mandarla anzitempo all'altro mondo, distrutte dalla disoccupazione e dalla miseria, per affermare l'interpretazione di una norma?   Al punto in cui è arrivata la tragedia dell'Ilva, mi sento l'obbligo di dichiarare un'enormità: del diritto non m'importa nulla, se lo confronto con i disastri che può provocare. Troppe volte mi sono reso conto di una verità che secoli fa un cinese sapiente aveva espresso così: la giustizia è come il timone, a seconda del modo in cui lo giri la barca va da una parte o dall'altra. Vogliamo usare il timone per affondare l'Italia o per condurla in un porto sicuro?   Nel mio piccolo non ho dubbi. La salvezza dell'Ilva è un passaggio necessario per salvare l'Italia. Non sto a ripetere le tante cose scritte da chi s'intende di politica industriale. E voglio dimenticare le assurdità che la cronaca ci mette ogni giorno sotto gli occhi. La faziosità di clan della Casta partitica che sperano di lucrare sulla sciagura dell'Ilva. La Fiom Cgil che, rifiutando di scioperare contro i giudici, si mette contro gli operai. Il partitino dei Verdi che conta di rinascere nel deserto di Taranto. L'Associazione nazionale magistrati che si schiera con il Gip Todisco.   Una volta chiarito che dovrà essere la famiglia Riva a pagare gran parte della bonifica, adesso la parola torna alla magistratura. Coraggio, signori giudici, alzate le pallide chiappe che avete portato in vacanza al mare. Sospendete le ferie e risolvete questo maledetto imbroglio. Non obbligatemi a diventare come l'omino di Altan. Perché comincio ad avere anch'io cattive idee che non condivido. di Giampaolo Pansa  

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