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Vietiamo i cortei della generazione Z: quella degli zombie

Giampaolo Pansa

Le sfilate producono feriti e devastazioni. Ma soprattutto non servono a niente e trasformano i giovani in morti viventi, manovrati da piccoli leader violenti

Andrea Tempestini
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  di Giampaolo Pansa La Generazione Z. Un altro sabato romano. Quattro cortei politici o presunti tali. Che cosa significhi la zeta lo dirò subito: sta per zombie, come di solito vengono chiamati gli esseri umani apatici, senza volontà. Sono così molti dei nostri giovani, incapaci di riflettere sul proprio futuro e di deciderlo da soli. Tanto da diventare una massa di manovra passiva nelle mani di piccoli gruppi eversivi pronti a tutto.   Ma degli zombie parlerò dopo. Adesso mi limito a registrare che ieri poteva accadere il peggio e scapparci il morto. Per fortuna non è andata così. Questa giornata senza tragedie irrimediabili deve tuttavia spingerci a porre una domanda a noi stessi, alle istituzioni statali e ai pochi partiti rimasti in piedi. La domanda è diventata più che mai urgente: debbono essere vietati i cortei che presentano una possibile minaccia? La mia risposta è sì.  Vanno proibiti a Roma e in tutte le città chiave del Paese. Per un complesso di motivi che non riguardano soltanto l'ordine pubblico e la tranquillità dei cittadini. Non è vero che i cortei servano a esercitare il diritto costituzionale a manifestare il proprio pensiero. Esistono mille altri modi per farlo. Non si capisce perché si debba scegliere lo strumento che produce scontri inevitabili. Con le forze dell'ordine, con molti feriti o peggio da entrambe le parti, con devastazioni che nessuno ripagherà ai privati che le soffrono.  Ma i cortei sono inutili anche a raggiungere scopi positivi. Non servono a raccogliere consenso politico. Mi viene da ridere quando vedo un colosso ideologico ed economico come la Cgil marciare in cortei guidati dal suo leader maximo. Parlo della signora Susanna Camusso che si è pure inventata un look da corteista: felpa rossa con il marchio della ditta, berretto a visiera portato all'incontrario, grinta della rivoluzionaria che si prepara ad assaltare un Palazzo d'inverno inesistente.  QUINTA COLONNA Alla compagna Camusso l'archivio storico della Cgil dovrebbe rammentare quanto diceva un vecchio leader socialista, Pietro Nenni, che aveva toccato con mano l'inutilità di andare in piazza. Gli era successo durante la campagna elettorale del 1948, poi sfociata nella sconfitta del Fronte popolare e nel trionfo della Dc di Alcide De Gasperi: «Piazze piene, urne vuote».  Mi piacerebbe sentirlo ricordare anche dal leader maximo del Partito democratico, Pier Luigi Bersani, che spera di conquistare in primavera un risultato opposto a quello del Quarantotto. Ma il capo del Pd guida una coalizione molto più rissosa del vecchio Fronte popolare. Ed è troppo debole o opportunista per far suo il giudizio schietto del vecchio Nenni. Verrebbe subito linciato dalla quinta colonna di ultrà che stanno all'erta dentro il suo stesso partito. Per non parlare dell'alleato numero uno, il compagno Vendola, un mini capopopolo da fumetto che si eccita non appena vede sfilare qualcuno.  Ma allora a chi servono i cortei? Soltanto alle squadre violente di ribelli che in questo modo possono affermare il loro dominio sulle piazze. È una storia che ho raccontato da cronista lungo tutti gli anni Settanta. A Milano e in tante altre città importanti ho visto sfilare migliaia di ragazzi illusi di conquistarsi un avvenire marciando. I pretesti erano molti e ogni sabato ne venivano inventati di nuovi. Il Movimento studentesco organizzò persino un corteo contro la Fiera di Milano. Lo slogan scandito come un urlo di guerra diceva: «Fiera campionaria – fatica proletaria».  Quell'epoca vide poi una svolta criminale che si dovrebbe tenere ben presente  anche oggi. Finita l'epoca dei grandi cortei, iniziò quella delle spranghe e delle rivoltelle. Vennero uccisi ragazzi di destra, di sinistra e poliziotti. Tante teste spaccate e colpi sparati alla nuca. Non ci fu nessuna conquista politica o sociale. A giovarsene fu soprattutto un'industria: quella delle pompe funebri e dei fabbricanti di casse da morto.  Per ora nei cortei del sabato le pistole non sono comparse, anche se prima o poi qualcuno finirà per usarle. In compenso abbiamo già sotto gli occhi una realtà nauseante. È quella di migliaia di ragazzi, dai quindici ai venticinque anni, disposti a seguire alla cieca i pifferai violenti che se li portano in piazza. Per usarli come ariete contro la polizia e, nel caso serva, anche come carne da sfollagente.  I kapò dei Centri sociali e delle tante sigle antagoniste sanno bene in quale modo servirsi di questa massa pecoreccia di bamboccioni. La manovrano e, al tempo stesso, la disprezzano. Confesso che il loro disprezzo mi sembra del tutto motivato. Siamo di fronte a quella che ho chiamato Generazione Z, ossia le tribù passive degli zombie.  La Generazione Z sta diventando sempre più numerosa e, voglio dirlo, sempre più pericolosa a se stessa e agli altri. Dovrebbero studiare, ma non studiano. Non si curano del proprio futuro. Pensano che tutto gli sia dovuto. Una volta smessi i libri, rifiutano qualsiasi impegno che non sia quello di passare da una movida all'altra, senza battere un chiodo.  Gli zombie sono ignoranti. Straparlano di cultura, però si comportano da ridicoli  analfabeti. Credono che andare in piazza, oppure occupando gli istituti scolastici, migliori l'istruzione pubblica. Si fidano di professori impreparati o assenteisti. Se gli dici che i posti di lavoro esistono, ma non per i laureati in sociologia o in scienze della comunicazione, pensano che sei un servo del padrone. Non si rendono conto di una verità implacabile: il Paese che li mantiene è indebolito da una terribile crisi globale e la loro generazione sarà la prima vittima dello sfascio planetario.    Stiamo facendo troppa retorica sul futuro di questi zombie. I partiti gli lisciano il pelo perché sono possibili elettori, o lo diventeranno presto, e non vogliono perderli di vista. Da italiano attempato, che ha trovato la propria strada lavorando, non riesco più a sopportare il miliardo di parole usate per coccolare i giovani di oggi.  POCA TRIPPA Per nostra fortuna non tutti sono degli zombie. Tanti ragazzi e ragazze si danno da fare, hanno compreso che il piatto di minestra non si riempie da solo, invece di marciare nei cortei si dedicano ai mille lavori che li aspettano. Eppure i media si occupano soltanto degli zombie. In base al principio che un giorno Aldo Moro aveva espresso così: «Il bene non fa notizia».  Ma la Generazione Z sta diventando sempre più robusta. Confesso che non provo nessuna compassione quando gli zombie vengono pestati dai poliziotti che hanno aggredito. Mi irrito se vedo in tivù un'autorità dello Stato che dice: «Dobbiamo imparare a rispettarci a vicenda». La considero un'enormità. Gli agenti picchiano soltanto chi li aggredisce e, insieme, distrugge la tranquillità sociale. Sto dalla loro parte e mi fanno schifo i politici che non hanno il coraggio di dimostrarlo.  La mia opinione è che tutti i cortei dovrebbero essere vietati, soprattutto in aree cruciali come Roma. I bambocci della Generazione Z siano obbligati a restarsene a casa o al lavoro, se ne hanno accettato uno. Con questi chiari di luna, dove la trippa comincia a mancare per tutti, ogni indulgenza diventa un reato. Vogliamo morire uccisi dalla troppa pietà e dalla favola che i giovani hanno sempre ragione?   

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