Erich Priebke, il racconto dei 18 anni in casa con l'avvocato
Dal 1995 fino alla morte è stato vicino a Erich Priebke come un figlio. L'avvocato Paolo Giachini, ha ospitato in casa sua il boia delle Ardeatine e si è preso cura di lui fino alla fine e oggi, essendo uno dei pochi a sapere dove è seppellito, continua ad andare a trovare l'ex SS sulla tomba in un "piccolo cimitero custodito dal ministero degli Interni, un luogo meraviglioso e romantico, curato con amore da due rappresentanti delle istituzioni che hanno molto stimato il capitano". In una intervista rilasciata al Giornale Paolo Giachini racconta di come hanno vissuto insieme i 18 anni dei domiciliari, il carattere del nazista ("Un prussiano dalla testa ai piedi, che ha sempre rifiutato facili ricompense per ipocriti show di pentimento"), le fughe (cinque) a bordo della sua moto per una boccata d'aria, perché racconta l'avvocato "la legge stabilisce che, passato un decennio, all'ergastolano siano concessi 45 giorni l'anno di libertà: non li ebbe mai. Gli furono rifiutate persino 24 ore di permesso con un figlio dopo 20 anni di detenzione". L'ha portato anche alle Fosse Ardeatine? gli ha chiesto Stefano Lorenzetto. "Non rispondo. Me lo impediscono l'etica personale e il segreto professionale. Quello che posso dirle è che il capitano fu tormentato fino all'ultimo da un'esperienza terrificante, che lo aveva segnato per sempre. Uccidere a sangue freddo... Che ci vuole? Tiri il grilletto. Un attimo. La catastrofe è il resto della vita". La confessione al Papa - Giachini rivela però quello che gli disse Priebke a proposito dell'eccedio: "Mi descrisse un girone infernale in cui esecutori e morituri s'inabissarono senza urli". L'ex SS si confessò anche al papa Giovanni Paolo II in una lettera consegnata a mano il 22 settembre 1997: “I terribili eventi dell'ultimo conflitto mondiale mi hanno visto, come del resto un enorme numero di uomini che a quei tempi vestivano la divisa, eseguire un ordine atroce. Il fatto che si è in guerra non può alleviare il dramma di chi ha una coscienza e deve uccidere. Obbedire era inevitabile, ma fu poi per me una cosa orrenda, una tragedia personale”. Obbedire, gli fa notare il giornalista, non è inevitabile: i comandi sbagliati si possono rifiutare. Ma Giachini non ci sta: "Un subalterno che riceve un ordine in tempo di guerra è obbligato a obbedire. Sta scritto in tutti i codici militari. Se quell'ordine è criminale, a risponderne è il superiore che l'ha impartito. Per i sottoposti vale l'esimente del pericolo di vita. E la minaccia del capitano Carl Schütz, che diresse il massacro alle Ardeatine ed è morto libero cittadino a Colonia nel 1985, fu chiara: 'Chi non vuole sparare, si metta dalla parte degli ostaggi'”. Sparò due volte - "Priebke", continua l'avvocato, "sparò solo due volte. Se si fosse ribellato, l'avrebbero giustiziato e oggi lo celebreremmo come un eroe. Però l'aver obbedito non fa di lui un assassino. Pensava che quell'ordine fosse mostruoso, ma non illegittimo, essendogli stato impartito per impedire altri attentati come quello che a via Rasella era costato la vita a 33 militari sudtirolesi del battaglione Bozen e a due civili, tra cui un bambino di 12 anni. Le rappresaglie in simili circostanze sono ammesse anche dalla Convenzione dell'Aia. È diritto bellico". Priebke non chiese mai scusa per la rappresaglia di Roma, gli fa notare il giornalista. "E lei che ne sa?", replica Giachini. "Incontrò in questa casa i parenti di quattro vittime. Anna Maria Canacci, sorella di un trucidato, nel 2009 avrebbe desiderato partecipare con il capitano alla messa di Natale celebrata dal Papa: il tribunale militare di sorveglianza le negò il permesso. Liliana Gigliozzi, figlia di Romolo, un altro ucciso, volle conoscerlo perché lo riteneva esente da colpe. Lo stesso il nipote di don Pietro Pappagallo. Adriana Lanza Cordero di Montezemolo, che nell'eccidio perse il padre Giuseppe, colonnello del Regio Esercito e capo della resistenza militare monarchica, firmò la petizione a Giorgio Napolitano per la grazia". Marino denunciato - Giachini rivela che Priebke avrebbe voluto essere sepolto "a Bariloche. S'era comprato un terreno per sé e per la moglie. Invece Alicia, con la quale è stato sposato per 66 anni, vi giace da sola, uccisa dallo shock susseguente alla deportazione in Italia del suo Erich e dal dolore per non averlo più potuto riabbracciare. Separati in eterno. Le autorità italiane, dopo essersi impossessate della salma del capitano, l'avrebbero cremata volentieri. Mi sono opposto, dicendo: se non volete concedergli il funerale, non riuscirete nemmeno a ridurlo in cenere. Ho denunciato tutti coloro che hanno preso a calci il carro funebre e il sindaco Ignazio Marino per interruzione di pubblico servizio. Attendo ancora giustizia".