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Appalti Mose, due nuovi indagati nel Pd

Matteo Legnani
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Proprio mentre Matteo Renzi, nella sala stampa di Palazzo Chigi, stava illustrando le nuove norme approvate dal governo in materia di corruzione, da Venezia piombava una tegola sul Pd. A dir la verità attesa, ma non per questo meno dolorosa. Indagati nell'ambito dell'inchiesta sul Mose due deputati del Partito democratico: Davide Zoggia e Michele Mognato. La vicenda è quella su cui la procura del capoluogo veneto sta lavorando da mesi e che ha portato alle dimissioni del sindaco di Venezia, Giorgio Orsoni, anche lui del Pd. Il reato attorno a cui si indaga è il finanziamento illecito dei partiti a proposito dei contributi che Giovanni Mazzacurati, allora presidente del Consorzio Venezia Nuova, avrebbe versato nel 2010 a Orsoni per la campagna elettorale a sindaco di Venezia. I due deputati del Pd, ascoltati martedì dai magistrati veneziani, si sono detti estranei ai fatti. A coinvolgerli è stato proprio Orsoni che avrebbe fatto il loro nome, in quanto referenti della sua campagna elettorale. Secondo fonti della procura, sia Zoggia sia Magnato hanno smentito le affermazioni dell'ex sindaco, negando di essere stati i destinatari finali del finanziamento in nero di 450mila euro messo a disposizione da Mazzacurati. La vicenda è solo all'inizio e il provvedimento di chiusura delle indagini non è certo indizio di colpevolezza. Resta il fatto che per Renzi e per il Pd non è certo un bello spot. Soprattutto perché arriva quando i giornali sono ancora pieni dell'inchiesta su Mafia Capitale, che ha travolto non solo la classe dirigente romana del centrodestra, ma anche esponenti del centrosinistra. E si aggiunge alla condanna in secondo grado, proprio l'altro giorno, di un altro deputato Pd, Salvatore Margiotta, per corruzione e turbativa d'asta. La preoccupazione del premier per vicende giudiziarie che coinvolgono uomini del Pd è però mitigata da un fatto. Cioè che Zoggia, come Michela Campana a Roma, spuntata nell'inchiesta romana per un sms a Salvatore Buzzi e Daniele Ozzimo, ex assessore alla Casa del Campidoglio, nella geografia del Pd sono bersaniani. Zoggia, in particolare, è considerato un fedelissimo dell'ex segretario e negli ultimi tempi era stato uno dei leader dell'ala più dura della minoranza del partito. Eletto sindaco di Jesolo nel 1990, poi nel 2004 diventato presidente della provincia, fa il salto nella politica nazionale nel 2009, quando Pierluigi Bersani lo chiama a far parte della segreteria come responsabile enti locali, proprio per l'esperienza di amministratore. Resta al partito anche con Guglielmo Epifani, che lo nomina capo dell'organizzazione, dopo essere stato nel frattempo eletto deputato. Alla vigilia di un'assemblea dura come quella di domani all'Eur, dove Renzi si prepara a una resa dei conti con la minoranza interna, il coinvolgimento giudiziario di esponenti bersaniani è quindi, politicamente parlando, un assist al segretario. Per quanto si tratti di vicende diverse e tutte da verificare, per quanto Zoggia abbia un buon rapporto con i nuovi inquilini del Nazareno, è un elemento che, nel suo complesso, si ragiona dalle parti del premier, fa sì che la minoranza si presenti azzoppata all'assemblea nazionale. Se Renzi ieri sera ha evitato qualunque commento (e probabilmente terrà la stessa linea anche oggi), tra i suoi la reticenza è meno ferrea. La «vecchia guardia», quella che a detta del premier sta tentando l'agguato nei suo confronti, sta cadendo, si dice, sotto i colpi dei pm. Expo, Mose, Mafia Capitale. «Dove c'è un'inchiesta», ironizzano, «spunta un bersaniano». di Elisa Calessi

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