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La stampa estera ci costa un milione di euro l'anno

Matteo Legnani
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A voi i tagli, a noi la tagliata. I giornalisti stranieri di stanza in Italia tornano ad attaccare il nostro Paese: stavolta, però, stranamente non chiedono lacrime e sangue per noi. Chiedono brasato e barolo per loro. Quando si dice la coerenza: il governo si è accorto che la bella sede romana della stampa estera ci costa un milione di euro l'anno e ha provato a ridurre la spesa, ma i moralizzatori d'oltralpe hanno scoperto d'improvviso che la spesa pubblica non è poi così brutta come sembra. Soprattutto se serve a mantenere il loro ristorante, con sala dedicata, ambiente tranquillo e accogliente, ogni giorno un menu diverso e la cantina fornita di vini di qualità. I colleghi stranieri non hanno dubbi: l'Italia faccia sacrifici, noi intanto ci facciamo pranzi da gourmet. Il presidente della stampa estera si chiama Tobias Piller e molti di voi l'avranno presente, visto che va ospite fisso nei talk show per dire quanto gli italiani siano spendaccioni e quanto dovremmo imparare dalla Germania a tirare la cinghia. Corrispondente della Frankfurter Allgemeine Zeitung, è nel nostro Paese da oltre vent'anni ma continua a parlare come Strumptruppen. Di fatto è l'agente monomandatario del rigore tedesco, il ventriloquo della Merkel, una specie di apostolo dell'Angela. Non perde occasione per impartirci una predica. Così come fanno buona parte degli altri componenti dell'associazione, da Udo Gumpel a Marcelle Padovani, passando per i referenti italiani del Financial Times e dell'Economist, tutte persone che si sentono in dovere ogni giorno di darci una lezione di moralità. E che metterebbero i pensionati italiani in ginocchio sui ceci, se solo potessero. Ebbene: questi signori, per potere chiedere meglio sacrifici agli italiani, si fanno pagare dai medesimi italiani una bella sede in pieno centro di Roma, fra piazza Venezia e Fontana di Trevi. Tre piani, 2000 metri quadrati. Costo per i contribuenti: un milione di euro l'anno. Qui i nostri colleghi si ritrovano per importanti appuntamenti istituzionali come la presentazione della notte della taranta (27 marzo), la presentazione del cluster biomediterraneo dell'Expo (14 aprile) e la presentazione della nuova illuminazione dei fori imperiali (17 aprile). Ma soprattutto possono godere del ristorante con pranzi a tema («un'occasione per mangiare bene e bere buon vino») e il menù del giorno. Ieri, per dire, spiccavano le mezze maniche salsiccia e pecorino e la frisella con fagioli e tonno. Del resto, si sa, per scrivere acute analisi sul nostro Paese, bisogna tenersi leggeri. In attesa del menù con caponata e pasta 'ncasciata (alla leggerezza non c'è limite), i nostri colleghi internazionali hanno avuto un altro peso sullo stomaco: è stato sollevato il problema del costo della loro sede, che per altro non è di proprietà dello Stato ma del costruttore Scarpellini (guarda un po': sempre il solito, quello che affitta tutti i palazzi al Parlamento…). E così il governo ha suggerito un trasferimento, entro settembre, in un palazzo di proprietà del demanio, che consentirebbe notevoli risparmi. Siamo sempre nel centro di Roma (dietro l'Ara Pacis), si tratta di un piano alto, 1800 metri quadri in piazza Augusto Imperatore, non certo di uno sgabuzzino in periferia. Ma, nonostante questo, per i moralizzatori stranieri la proposta è più difficile da digerire della frisella tonno e fagioli. I colleghi della stampa estera, infatti, come racconta Andrea Garibaldi del Corriere della Sera, sono andati a fare un sopralluogo e sono rimasti sdegnati. 1800 metri quadrati anziché 2000? Impossibile. Un solo piano anziché tre? Deludente. Poi non c'è spazio per la sala conferenze. E, soprattutto, per il bar-ristorante dove, come recita il sito ufficiale della Stampa Estera, si possono «fronteggiare le più dure giornate con le freschissime centrifughe di frutta fresca». Insomma: si può stare senza le freschissime centrifughe di frutta fresca? «Questa situazione va risolta», ha tuonato Tobias Piller prima di vergare un altro dei suoi feroci articoli sull'Italia sciupona e spendacciona. Come non capirlo? La coerenza non è tutto. E dev'essere proprio difficile moralizzare gli italiani senza farsi pagare da loro una sede faraonica, dove pasteggiare con tartufo bianco e Brunello del '93. di Mario Giordano

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