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Cuffaro e il diritto di vincere lo Strega

Con l'opera "Il candore delle cornacchie" l'ex governatore candidato al prestigioso premio. Protesta la sinistra moralista che però dimentica Battisti e Sofri

Lucia Esposito
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  Nino Sunseri  In fondo è l'unica candidatura che  può presentare. Non in politica, preclusa per sempre, ma in letteratura. Succede a Totò Cuffaro, ex potentissimo Presidente della Regione Siciliana, insuperabile macchina elettorale.  Succede che  Totò detto Vasa-Vasa (per la sua insopprimibile abitudine di baciare e farsi baciare a ogni incontro), detenuto dal febbraio 2011 per favoreggiamento aggravato a Cosa Nostra e rivelazione di segreto istruttorio, scrive un libro. Titolo: Il Candore delle Cornacchie (Guerini Editore pp 416, euro 18,50).  Ed è un opera in lizza per il Premio Strega. Una candidatura che ha suscitato le proteste di tutti gli indignati speciali. Ma come può un politico in galera, simbolo della corruzione e dell'arroganza  (come dimenticare il vassoio di cannoli che offriva dopo il giudizio di primo grado?) pensare di partecipare al più importante premio letterario italiano? Il riconoscimento che, dal 1947 ha laureato l'eccellenza della scrittura. Da Ennio Flaiano, primo vincitore, a Elsa Morante, Alberto Bevilacqua, Umberto Eco, Primo Levi, fino a Giuseppe Tomasi di Lampedusa: altro siciliano. Ma anche altra storia. Né valgono le parole di Monsignor Rino Fisichella nella prefazione: «Ho sofferto per la sua condanna e ho ammirato la  dignità. Ho visto la sua trasformazione». Ma Monsignor Fisichella è solo un teologo, e Totò a Rebibbia si è portato semplicemente un'immagine della Madonna e una di Santa Rosalia. Non certo le mani sporche di sangue con cui Cesare Battisti e gli altri terroristi  hanno scritto le loro memorie. Non è nemmeno Adriano Sofri che dal carcere non ha mai interrotto le sue corrispondenze. E se non hanno mai partecipato al Premio Strega sarà perché i loro lavori non hanno le qualità letterarie che Marco Staderini e Giampiero Gamaleri (ex consiglieri Rai, la più grande industria culturale italiana) hanno riscontrato nelle 416 pagine di Totò. Un libro che nasce nelle lunghe notti trascorse a Rebibbia. Quando i compagni di cella chiudono gli occhi, e per il detenuto Cuffaro Salvatore  inizia la riflessione e la scrittura. Come rivelato da Stefano Di Michele su Il Foglio, «Totò scrive con un cilindro di cartone di un vecchio rotolo di carta igienica che occulta e dirige la luce di una lampada perché questa non colpisca il sonno degli altri, sdraiato sulla branda, con lo sguardo che corre». Scrive con un matita, «perché la biro, dopo un po', in quella posizione smette di funzionare». Un uomo, che ha vissuto nello sfarzo di Palazzo d'Orleans, e nell'amore dei suoi fedelissimi, che sono tanti, ma che ha commesso molti errori. D'altronde, «come dice l'Alfieri nel Saul, sol chi non fa non fa uno sbaglio». Un uomo che ha rispettato la sentenza della magistratura e la rispetterà «fino all'ultimo giorno». Ne Il Candore delle Cornacchie ci sono pochi accenni agli anni vissuti nel Palazzo siciliano. Emerge, invece, un personaggio che vuol far conoscere il mondo delle carceri, perché ci si renda conto di cosa succede «lì dentro». «Mi lavo le mani venti volte al giorno». «Una donna mi sta scrivendo una cartolina ogni giorno. La prima l'ho ricevuta qualche giorno dopo l'ingresso in carcere, mi scriveva: “Ti terrò compagnia ogni giorno con un pensiero, ti accompagnerò per tutti i giorni che starai in carcere”. So soltanto il suo nome, Antonella». Ora Totò sogna la finale dello Strega. Che almeno il suo libro superi la prima selezione che ridurrà a tredici i partecipanti alla finalissima. Ma gli indignati speciali  gli vogliono togliere anche questa illusione. E allora ironizzano sul fatto che tutti i premi letterari sono una “mafia” e quindi  Toto è al posto giusto. E ricordano un Pesce d'Aprile di tanti anni fa quando un fax, partito dalla Presidenza della Regione, tesseva le lodi di Mimmo Galletto, sconosciuto letterato compaesano di  Cuffaro. Rise tutta Palermo. Chissà: forse indignati e giustizialisti troverebbero immeritata anche la fama di Silvio Pellico. In fondo anche lui scriveva da una prigione.  

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