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Ecco i migliori ospedali in LombardiaPiemonte, Veneto, Lazio e Sicilia

Edoardo Cavadini
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Dopo aver pubblicato la lista dei dieci migliori e peggiori ospedali d'Italia per la cura delle malattie che colpiscono più frequentemente gli italiani (infarto, ostruzione aortica, ictus, calcoli e frattura del femore), abbiamo deciso raccontare la realtà ospedaliera regione per regione così come emerge dall'immensa mole di dati elaborati dall'Agenzia nazionale per i servizi sanitari (Agenas), in collaborazione con il ministero della Salute. Ecco allora che Lombardia, Veneto, Piemonte, Lazio e Sicilia svelano i propri “fiori all'occhiello” ma i numeri - manco a dirlo - abbattono i luoghi comuni che vorrebbero il nome del grande nosocomio e istituto di ricerca collocato nelle prime posizioni della classifica. E invece, così come era capitato per le 50 posizioni assolute, anche compulsando i valori delle singole realtà locali emerge come le posizioni migliori, in termini di bassi tassi di mortalità postoperatoria e tempi di attesa “umani” per un intervento, se le siano aggiudicate strutture periferiche. Non mancano certo i colossi, come il Monzino di Milano, specializzato nelle cure cardiovascolari, che è tra i primi in Lombardia per ridotto numero di decessi dopo gli infarti acuti, ma la palma di miglior centro per l'Agenas se l'aggiudica l'ospedale di Legnano, seguito da una clinica milanese e dall'ospedale di Vigevano.  I grandi centri di eccellenza meneghini (San Raffaele e Sacco) si confermano invece all'avanguardia per la cura dell'ictus, con tassi di mortalità significativamente più bassi della media nazionale. In generale però, sembra valere il sorprendente principio per cui più il centro è piccolo e legato alla provincia, più è efficiente e virtuoso nelle prestazioni. Una regola però in contrasto con il senso comune e che - come sostiene il responsabile della Cardiochirurgia del Policlinico di Monza - potrebbe essere smontata dalla logica: un paziente affetto da una patologia grave sarà portato a recarsi in una struttura grande, consolidata e dalla reputazione nazionale o si “accontenterà” del piccolo centro a pochi chilometri da casa? La risposta è ovvia, e si porta dietro una conseguenza altrettanto scontata: un grande ospedale, gravato da centinaia di casi di persone gravi che vengono da altre regioni, plausibilmente avrà a che fare con un numero di decessi maggiore rispetto ad altri. Tornando alle prestazioni e alle valutazioni dell'Agenas, spiccano le sperequazioni all'interno delle stesse regioni. Nel Lazio, ad esempio, accanto al Vannini di Roma  che ha un tasso di mortalità per infarto dimezzato rispetto alla media nazionale, ci sono strutture a Pomezia e Tivoli in cui il valore invece è doppio e in un caso quasi triplicato. Stessa cosa dicasi per i trattamenti dell'ictus, che nella regione della Capitale producono un delta di valutazioni tra migliori e peggiori di oltre 30 punti. Il Veneto spicca invece in positivo per i tempi di attesa per le fratture del collo del femore, patologia  che colpisce in primis le persone anziane: anche qui, però, si aggiudicano la palma d'oro strutture periferiche: Abano Terme, Portogruaro,  San Donà di Piave, e solo dopo arrivano Rovigo e Vicenza. I giudizi dell'Agenas (ma l'agenzia preferisce parlare di «strumenti di valutazione per migliorare efficacia ed equità del Sistema Sanitario Nazionale) non sono particolarmnete lusinghieri con le strutture della Sicilia per nessuna delle cinque patologie prese in considerazione. In particolare tassi di mortalità e tempi di attesa sono più elevati che altrove in tutti gli ospedali, fatte salve alcune sacche di efficienza a Catania e Palermo. Anche in Piemonte la situazione presenta luci e ombre, con una specificità: l'Agenas non ha ritenuto di fornire dati sulle strutture (né in positivo né in negativo) per il trattamento del bypass aortico e questo perché l'errore statistico era troppo elevato. Edoardo Cavadini  (2. Continua)

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