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Gianduiotti, il bruttissimo sospetto: che cosa ci mangiamo davvero

Matteo Legnani
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La vicenda Pernigotti, con la proprietà turca che ha annunciato la chiusura dello stabilimento di Novi Ligure e la delocalizzazione dell' attività in riva al Bosforo, ha riportato d' attualità un aspetto quasi trascurato dell' etichettatura: la dichiarazione dello stabilimento in cui avviene la produzione. A termini di legge, in base al Decreto legislativo numero 145 del 15 settembre 2017, tutti i prodotti alimentari dovrebbero recare sull' imballo l' indicazione precisa dello stabilimento in cui sono stati prodotti o confezionati. I ministri Martina e Calenda reintroducevano così un obbligo rimasto in vigore in tutta l' Unione europea dal 1992 al 2014, anno in cui la Commissione Ue lo dichiarò decaduto. Sennonché la norma italiana venne a suo tempo notificata a Bruxelles dal governo Gentiloni ma successivamente ritirata per il «no» secco pronunciato dall' Eurogoverno e mai più ripresentata. Nonostante questo Martina e Calenda la fecero pubblicare sulla Gazzetta Ufficiale italiana ed è entrata in vigore il 22 ottobre dello scorso anno. L'obbligo che non c'è - Dunque, prevalendo le norme comunitarie su quelle italiane in materia di etichettatura dei prodotti destinati alla vendita, il Decreto legislativo potrebbe decadere con un semplice ricorso al Tar da parte di un azienda o un' associazione di produttori. Ricorso che non si è mai verificato perché nessuno si sente di essere additato come il responsabile dell' abrogazione di una norma destinata ad aumentare la trasparenza dei prodotti che si portano a tavola. Vicenda simile a quella dei provvedimenti riguardanti l' etichettatura d' origine obbligatoria per latte, formaggi, pasta e riso. Tutti sanno che da un giorno all' altro potrebbero afflosciarsi come un castello di sabbia, ma nessuno ha il coraggio di dare loro la spallata decisiva. Per fortuna. In attesa che il ministro delle Politiche Agricole Gian Marco Centinaio faccia chiarezza sul tema, ogni produttore fa come meglio crede. Così, sullo stabilimento di produzione, non c' è alcuna uniformità in etichetta. Per capire se sia possibile individuare il luogo fisico di produzione dei gianduiotti, prodotto simbolo della Pernigotti, ho indossato i panni del Casalingo di Voghera, mia città natale, e ho acquistato tutte le marche disponibili di questi cioccolatini alla nocciola nei supermercati vogheresi. Classificandoli in base a marca, denominazione di vendita, stabilimento di produzione, leggibilità dell' etichetta, peso netto, prezzo, costo al chilogrammo. leggi anche: L'Italia perde anche Pernigotti: il gianduiotto ora è turco Vincolo aggirato - Il risultato è quello visibile nella tabella pubblicata in questa pagina. Su 9 marche appena 4 dichiarano esplicitamente lo stabilimento di produzione. Negli altri casi l' obbligo è completamente disatteso o aggirato, con dichiarazioni generiche del tipo: «made in Italy» oppure «prodotto in Italia». Locuzione, quest' ultima, che nel lessico tecnico dell' etichettatura dovrebbe significare addirittura fatto in Italia con materie prime interamente nazionali. Eventualità alquanto improbabile per i gianduiotti. E se così fosse la loro italianità al 100% - cacao a parte - sarebbe ampiamente strillata sulla confezione, nella parte anteriore e con caratteri visibili. Com' è nel caso dei gianduiotti Viaggiator Goloso che sull' imballo dichiarano «Prodotto ottenuto esclusivamente da Nocciola Piemonte Igp». Stante il paradosso di queste etichette «fuori legge» che probabilmente non vengono perseguite per la labilità del provvedimento che stabilisce l' obbligo di dichiarazione, resta la difficoltà oggettiva di risalire alla localizzazione dello stabilimento. A cominciare dai cioccolatini Pernigotti, quelli che hanno fatto scattare la mia curiosità, il cui stabilimento produttivo resta un mistero. Dunque, nella malaugurata ipotesi che i fratelli Toksoz, proprietari dell' azienda dolciaria novese, dovessero riuscire nell' intento di delocalizzarne la produzione nel loro Paese, non ci sarebbe modo di capirlo leggendo l' etichetta. di Attilio Barbieri

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